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Una mattina d’agosto nella ‘bolgia’ delle ‘direttissime’ del Tribunale di Milano

Ago 19, 2023

AGI – C’è una giustizia velocissima che non si ferma mai, nemmeno d’estate. In tribunale a Milano è la stagione in cui i pavimenti in marmo brillano nella pace della ‘controra’ del potere giudiziario, calpestati da rari avventurosi. Tranne che al piano terra. Dentro alle aule delle ‘direttissime’, spesso accostate da chi ci lavora a bolge dantesche, ferve il rito delle convalide degli arresti della notte. E’ qui che passa la piccola criminalità e da qui bisogna partire per capire come le carceri si riempiano a dismisura.

La libertà delle persone viene decisa in pochi minuti. “Giudice, ho appena iniziato a leggere il fascicolo” protesta debolmente l’avvocato Valentina Scandale, “sostituta di un collega amico in vacanza”, quando viene chiamata dal magistrato. Pochi minuti fa ha ‘afferrato’ dal tavolo del pubblico ministero le carte in cui viene ricostruito il caso di un egiziano beccato con un panetto di hashish da 70 grammi. Leggere il prima possibile l’incartamento, spiega Chiara Campanello, legale ‘specializzata’ in direttissime (“Mi piace, devi avere una grande prontezza”), è l’obbiettivo di ogni difensore d’ufficio buttato giù dal letto dalle forze dell’ordine per affiancare gli arrestati. “Stamattina sono fortunatissima, ho un po’ di minuti per sfogliarlo”. Copia a penna su un taccuino con grafia minuziosa le tappe della vicenda del suo cliente accusato di avere strappato dal collo di un’anziana una catenina. Decide in pochi secondi la strategia da suggerire al ragazzo di 27 anni, egiziano, nella gabbia. Il consiglio è di ammettere l’errore. “Non ha precedenti, ci sono margini per evitare il carcere”.

Parte la litania delle domande del giudice che sentiremo quasi sempre. “Da quanti anni è in Italia?” “Da quasi un anno”. “Ha una casa?”. “Ho un posto letto al Giambellino che pago 200 euro”. “Lavora?”. “In nero, come imbianchino”. “E’ regolare?”. “Ho già l’appuntamento per le impronte digitali”. E poi supplica: “E’ la prima volta che sbaglio e anche l’ultima. Chiedo perdono”. Jamal Zoughheib, l’interprete arabo che da 40 anni fa questo lavoro pagato spesso male e in ritardo, accompagna coi gesti delle mani le parole del giovane. Non lo faccio più. Ma il giudice lo spedisce in carcere anche perché, dice, c’è “un’elevata” possibilità di reiterazione del reato e poi la sua condotta di strappare la catenina “è stata di particolare violenza”. Si mette le mani in faccia e piange, gli agenti lo portano via.

Avanti un altro. Il pubblico ministero con abito a fiori, espradillas, ventaglio e tè freddo, indossa la toga. Questione di droga. “Da dove veniva e dove era destinata?”. “Non lo so”. Ha precedenti, è tossicodipendente. Galera anche per lui: “ci sono evidenti esigenze di tutela della collettività”. Nella pausa l’interprete racconta: “Sono al servizio permanente della giustizia. Non vado in ferie da due anni. Ad agosto, poi, manco a parlarne. Ci sono un sacco di emergenze. Mi pagano spesso a distanza di mesi. E’ un lavoro bellissimo, il mio, e importante, ma non lo vuole fare nessuno. Le bollette le devi pagare subito”. 

Cambiamo aula. Una donna nigeriana di 33 anni ieri sera ha danneggiato 12 scooter elettrici a noleggio e una moto, zona Stazione Centrale. Emerge che ha un disturbo bipolare e vive in strada a Milano. “Ho la protezione internazionale perché sono omosessuale e nel mio Paese non si può esserlo”. Fa capire che vorrebbe andare in carcere per mangiare. Il rappresentante dell’accusa, Arturo Iacovacci, però non la può ‘accontentare’. Non ci sono le esigenze cautelari e così la pensa anche il giudice. Libera. Fuori dall’udienza il Vpo (vice procuratore onorario) discute con l’avvocato dell’opportunità che la donna torni in carico ai servizi sociali di Lecco, com’era prima di finire senzatetto.

Tocca a un giovane della Sierra Leone. “Da quanto sei in Italia?”. “Dal 2016”. “Dove vivi?”. “Nel dormitorio di via Ortles”. “Perché sei lì?”. “Ho un problema di salute”. “Cos’hai da dire a tua difesa?”. Risponde che un altro ospite della struttura gli doveva restituire 200 euro e gli aveva promesso che l’avrebbe fatto. “Siccome non l’ha fatto, gli ho rubato il portafoglio. Mi vergogno”. Nel suo passato ci sono altre otto denunce per furto. Il giudice convalida. Fuori udienza, il rappresentante dell’accusa dice: “C’è tanta gente che non dovrebbe stare qui, come la ragazza bipolare che dovrebbe essere curata”. 

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