• 19 Aprile 2024 5:10

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Tutti i boicottaggi nella storia dei Giochi olimpici

Dic 8, 2021

AGI – Le Olimpiadi Invernali di Pechino 2022 saranno segnate da un boicottaggio “soft” degli Stati Uniti, che riguarda il personale diplomatico e non gli atleti, in reazione alle violazioni dei diritti umani commesse dalla Cina ai danni dell’etnia uigura.

Alla mossa degli Usa potrebbero unirsi anche altri Paesi, che stanno valutando le rispettive posizioni sui Giochi Invernali di febbraio prossimo: il vice primo ministro britannico, Dominic Raab, ha dichiarato che la Gran Bretagna deciderà “a tempo debito”.

Incertezza anche da parte del Canada: dopo l’annuncio Usa, il ministro dello Sport, Pascale St-Onge, ha dichiarato che Ottawa non prenderà “a cuor leggero” la decisione. Il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, ha invece sottolineato che il Giappone deciderà “sulla base degli interessi nazionali”.

A schierarsi contro gli Usa è la Russia: il Cremlino ha criticato la scelta del boicottaggio diplomatico, dicendo che i Giochi Olimpici devono essere “liberi dalla politica”, pur ritenendo positivo che la decisione non riguardi la partecipazione degli atleti.

Il boicottaggio diplomatico Usa è un’arma “soft” utilizzata da Washington, soprattutto rispetto ai boicottaggi “hard” del passato, quando per ben sei volte nella storia delle Olimpiadi moderne alcuni Paesi decisero di non partecipare alle competizioni atletiche.

Il caso più noto è quello delle Olimpiadi di Mosca del 1980, boicottate in primis proprio dagli Usa e complessivamente da 65 nazioni (tra cui Canada, Israele, Giappone, Cina e Germania Ovest) in protesta per l’invasione sovietica dell’Afghanistan del dicembre 1979; l’Urss trionfò nel medagliere, con un record ancora oggi imbattuto di 195 medaglie vinte (di cui 80 d’oro).  Mosca mise in atto la propria rappresaglia quattro anni più tardi, con il boicottaggio delle Olimpiadi di Los Angeles 1984.

In totale 14 nazioni del blocco sovietico (tra cui la Germania Est) non parteciparono all’evento sportivo in risposta ai “sentimenti sciovinisti e isteria anti-sovietica” degli Stati Uniti. L’impatto fu, però, limitato: i Giochi di Los Angeles videro la presenza di atleti da 140 Paesi – tra cui la Cina, per la prima volta a un evento olimpico dal 1952 – e furono un successo sul piano del ritorno economico, mentre gli Stati Uniti trionfarono con 83 ori.

La Cina stessa ha attuato questa forma di protesta in passato: alla base della decisione di non inviare atleti c’era la questione di Taiwan, l’isola su cui la Repubblica Popolare rivendica la sovranità e oggi è di nuovo al centro delle tensioni con gli Stati Uniti. Pechino non mandò i propri atleti all’edizione di Melbourne del 1956, in protesta per il permesso a Taiwan di partecipare ai Giochi come Paese a sè (Taiwan avrebbe a sua volta rifiutato di partecipare, invece, alle Olimpiadi di Montreal del 1976, per il rifiuto del Canada di fare competere l’isola sotto il nome di Repubblica di Cina).

I Giochi del 1956 furono i primi ad affrontare il tema del boicottaggio: Spagna, Paesi Bassi e Svizzera non inviarono atleti in protesta per l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica, avvenuta solo poche settimane prima, mentre Egitto, Iraq e Libano non parteciparono per la crisi del canale di Suez contro Israele, Francia e Gran Bretagna.

Dal 1964 al 1992, inoltre, è stata vietata la partecipazione del Sudafrica alle Olimpiadi per la politica di apartheid. I Giochi Olimpici hanno risentito anche degli attriti tra le due Coree: la Corea del Nord rifiutò di partecipare ai Giochi Olimpici di Seul 1988 per non avere ricevuto il permesso di organizzare i Giochi con la Corea del Sud. Nonostante il boicottaggio, 159 Paesi e ottomila parteciparono all’evento sportivo.

La questione coreana è tornata di recente alla ribalta. Sull’onda del disgelo che ha preceduto le Olimpiadi Invernali di Pyeongchang del 2018, le due Coree hanno anche fatto un’offerta per ospitare congiuntamente le Olimpiadi del 2032: a luglio scorso, però, il Comitato Internazionale Olimpico ha assegnato a Brisbane, in Australia, i Giochi della trentacinquesima Olimpiade moderna.

Per quanto non si tratti di un boicottaggio completo, Pechino non ha accolto di buon grado l’annuncio di Washington, che definisce una “farsa” e una “politicizzazione dello sport”. La Cina ha promesso contromisure alla decisione degli Stati Uniti che, ha detto il portavoce del Ministero degli Esteri Zhao Lijian senza scendere nel dettaglio, “pagheranno un prezzo per le loro pratiche sbagliate”.

Tra le possibili ripercussioni ipotizzate c’è quella di un’analoga rappresaglia di Pechino ai prossimi appuntamenti olimpici. A una domanda sulla possibilità di un contro-boicottaggio diplomatico della Cina alle Olimpiadi di Los Angeles del 2028 e ai possibili Giochi Olimpici Invernali di Salt Lake City nel 2030, per i quali gli Usa stanno lavorando, il portavoce non ha dato una risposta diretta, ma ha sottolineato che “le azioni illecite degli Stati Uniti hanno distrutto le fondamenta degli scambi sportivi tra Cina e Stati Uniti e della cooperazione olimpica”.  

AGI – Le Olimpiadi Invernali di Pechino 2022 saranno segnate da un boicottaggio “soft” degli Stati Uniti, che riguarda il personale diplomatico e non gli atleti, in reazione alle violazioni dei diritti umani commesse dalla Cina ai danni dell’etnia uigura.
Alla mossa degli Usa potrebbero unirsi anche altri Paesi, che stanno valutando le rispettive posizioni sui Giochi Invernali di febbraio prossimo: il vice primo ministro britannico, Dominic Raab, ha dichiarato che la Gran Bretagna deciderà “a tempo debito”.
Incertezza anche da parte del Canada: dopo l’annuncio Usa, il ministro dello Sport, Pascale St-Onge, ha dichiarato che Ottawa non prenderà “a cuor leggero” la decisione. Il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, ha invece sottolineato che il Giappone deciderà “sulla base degli interessi nazionali”.
A schierarsi contro gli Usa è la Russia: il Cremlino ha criticato la scelta del boicottaggio diplomatico, dicendo che i Giochi Olimpici devono essere “liberi dalla politica”, pur ritenendo positivo che la decisione non riguardi la partecipazione degli atleti.
Il boicottaggio diplomatico Usa è un’arma “soft” utilizzata da Washington, soprattutto rispetto ai boicottaggi “hard” del passato, quando per ben sei volte nella storia delle Olimpiadi moderne alcuni Paesi decisero di non partecipare alle competizioni atletiche.
Il caso più noto è quello delle Olimpiadi di Mosca del 1980, boicottate in primis proprio dagli Usa e complessivamente da 65 nazioni (tra cui Canada, Israele, Giappone, Cina e Germania Ovest) in protesta per l’invasione sovietica dell’Afghanistan del dicembre 1979; l’Urss trionfò nel medagliere, con un record ancora oggi imbattuto di 195 medaglie vinte (di cui 80 d’oro).  Mosca mise in atto la propria rappresaglia quattro anni più tardi, con il boicottaggio delle Olimpiadi di Los Angeles 1984.
In totale 14 nazioni del blocco sovietico (tra cui la Germania Est) non parteciparono all’evento sportivo in risposta ai “sentimenti sciovinisti e isteria anti-sovietica” degli Stati Uniti. L’impatto fu, però, limitato: i Giochi di Los Angeles videro la presenza di atleti da 140 Paesi – tra cui la Cina, per la prima volta a un evento olimpico dal 1952 – e furono un successo sul piano del ritorno economico, mentre gli Stati Uniti trionfarono con 83 ori.
La Cina stessa ha attuato questa forma di protesta in passato: alla base della decisione di non inviare atleti c’era la questione di Taiwan, l’isola su cui la Repubblica Popolare rivendica la sovranità e oggi è di nuovo al centro delle tensioni con gli Stati Uniti. Pechino non mandò i propri atleti all’edizione di Melbourne del 1956, in protesta per il permesso a Taiwan di partecipare ai Giochi come Paese a sè (Taiwan avrebbe a sua volta rifiutato di partecipare, invece, alle Olimpiadi di Montreal del 1976, per il rifiuto del Canada di fare competere l’isola sotto il nome di Repubblica di Cina).
I Giochi del 1956 furono i primi ad affrontare il tema del boicottaggio: Spagna, Paesi Bassi e Svizzera non inviarono atleti in protesta per l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica, avvenuta solo poche settimane prima, mentre Egitto, Iraq e Libano non parteciparono per la crisi del canale di Suez contro Israele, Francia e Gran Bretagna.
Dal 1964 al 1992, inoltre, è stata vietata la partecipazione del Sudafrica alle Olimpiadi per la politica di apartheid. I Giochi Olimpici hanno risentito anche degli attriti tra le due Coree: la Corea del Nord rifiutò di partecipare ai Giochi Olimpici di Seul 1988 per non avere ricevuto il permesso di organizzare i Giochi con la Corea del Sud. Nonostante il boicottaggio, 159 Paesi e ottomila parteciparono all’evento sportivo.
La questione coreana è tornata di recente alla ribalta. Sull’onda del disgelo che ha preceduto le Olimpiadi Invernali di Pyeongchang del 2018, le due Coree hanno anche fatto un’offerta per ospitare congiuntamente le Olimpiadi del 2032: a luglio scorso, però, il Comitato Internazionale Olimpico ha assegnato a Brisbane, in Australia, i Giochi della trentacinquesima Olimpiade moderna.
Per quanto non si tratti di un boicottaggio completo, Pechino non ha accolto di buon grado l’annuncio di Washington, che definisce una “farsa” e una “politicizzazione dello sport”. La Cina ha promesso contromisure alla decisione degli Stati Uniti che, ha detto il portavoce del Ministero degli Esteri Zhao Lijian senza scendere nel dettaglio, “pagheranno un prezzo per le loro pratiche sbagliate”.
Tra le possibili ripercussioni ipotizzate c’è quella di un’analoga rappresaglia di Pechino ai prossimi appuntamenti olimpici. A una domanda sulla possibilità di un contro-boicottaggio diplomatico della Cina alle Olimpiadi di Los Angeles del 2028 e ai possibili Giochi Olimpici Invernali di Salt Lake City nel 2030, per i quali gli Usa stanno lavorando, il portavoce non ha dato una risposta diretta, ma ha sottolineato che “le azioni illecite degli Stati Uniti hanno distrutto le fondamenta degli scambi sportivi tra Cina e Stati Uniti e della cooperazione olimpica”.  

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