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Tutte le volte che i camalli hanno battuto i governi

Ott 15, 2021

AGI – Un uomo con “forsa da beu” che “camallâ sulla schenn-a”. Ecco chi è il camallo, la figura più antica del porto di Genova: è il “faticatore” che, grazie all’abnegazione e ad una indubbia forza fisica (“da beu”, appunto), provvedeva a trasportare (“camallâ”) sulle spalle le merci dalla stiva della nave alle banchine.

Spina dorsale del porto dai suoi albori, il camallo è stato tante volte l’ago della bilancia dei movimenti operai e, spesso, l’elemento cruciale per la stabilità o la caduta dei governi in Italia.

Basti pensare al grande sciopero del 1900 di Genova, che segnò una vera svolta nelle condizioni dei lavoratori.

Oppure ai fatti del 30 giugno del 1960, per proseguire con le battaglie contro le liberalizzazioni degli anni ‘90.

Senza dimenticare la solidarietà, come il viaggio dell'”Australe” per portare aiuti alla popolazione vietnamita sotto attacco degli americani. O, più recentemente, nel 2019, il secco no che i portuali genovesi hanno pronunciato contro il passaggio delle cosiddette “navi delle armi” nello scalo del capoluogo ligure. Guardando ad oltre un secolo fa, quello storico dicembre del 1900, la forza del porto e dei camalli genovesi si fece sentire a tal punto da far cadere il governo Saracco. Fu il primo sciopero generale in Italia e nacque da un ordine dell’allora prefetto di Genova Camillo Garroni che, per decreto, impose la chiusura della Camera del lavoro. “Un covo di sovversivi”, pensavano le autorità, mentre il Governo nazionale lasciava fare.

Il porto, gli operai, i sindacalisti, i deputati socialisti, repubblicani e radicali decisero per la protesta: il deputato socialista Pietro Chiesa dichiarò che “lo sciopero di Genova resterà famoso e farà epoca negli annali dei lavoratori di tutto il mondo per la grandezza, la solennità e la serietà della dimostrazione”.

Cinque giornate, dal 18 al 23 dicembre durante le quali porto, navi, fabbriche si fermarono e, grazie a quella battaglia, si aprì una diversa stagione politica in Italia. Sessant’anni dopo il governo Tambroni sfidò nuovamente quella “forsa da beu”: non solo non impedì, ma difese l’organizzazione del congresso nazionale del MSI a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza.

Un congresso per giunta presieduto da Emanuele Basile, prefetto repubblichino che, negli anni di Salò, era stato responsabile della deportazione degli antifascisti genovesi nei lager e nelle fabbriche tedeschi. Due giorni dopo la manifestazione del 28 giugno, indetta dalle associazioni partigiane affiancate dai partiti PCI, PSI, PSDI, PRI, PR e dal sindacato CGIL (che proclamarono uno sciopero generale), la città medaglia d’oro insorse. Il 30 giugno 1960 proprio i camalli risalirono dal porto guidando decine di migliaia di cittadini in massima parte di giovane età (i cosiddetti “ragazzi dalle magliette a righe”, ndr), in una grande manifestazione aperta dai comandanti partigiani.

Al tentativo di sciogliere la manifestazione da parte della polizia, i manifestanti rovesciarono e bruciarono le jeep, tirarono su barricate e di fatto si impadronirono della città, costringendo i poliziotti a trincerarsi nelle caserme. In piazza De Ferrari venne acceso un rogo per bruciare i mitra sequestrati alle forze dell’ordine. Il prefetto di Genova fu costretto ad annullare il congresso dell’MSI.

Il 27 luglio il governo Tambroni cadde. Profondamente lontani dalle destre (lo dimostra la loro presenza in piazza ad ogni corteo anti fascista), internazionalisti, anti razzisti, pacifisti, i camalli erano 8mila nel 1987, sono mille oggi, come i famosi di Garibaldi, ma continuano a tramandare “forsa da beu” di padre in figlio. La dimostrazione è anche l’ultimo sciopero generale organizzato l’11 ottobre scorso in cui dei quasi 5000 scesi in piazza a Genova, i portuali erano almeno la metà.

È su quella forza che ora si fa leva per rivedere l’obbligo di green pass sui luoghi di lavoro: “non per ideologia”, sottolineano i portuali genovesi, “ma per diritto e sicurezza dei lavoratori”. Il mondo portuale a Genova raccoglie 12mila persone circa tra diretti e indotto. Moltissime di queste – circa un 20% – rischiano di non poter entrare al lavoro domani. “Noi – sottolineano dal Calp, il collettivo autonomo lavoratori portuali – non lasciamo per strada nessuno. Se riusciamo a sciogliere questo nodo oggi, ottenendo tamponi gratis bene, altrimenti è sciopero”. Restano poche ore per decidere, ma in ogni caso, ancora una volta, il porto è pronto a “camallâ” anche questa battaglia. 

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