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Trump non graffia Pechino, le Borse tirano il fiato. Rimbalza la manifattura cinese

Giu 1, 2020

MILANO – Ore 10:30. L’assenza di immediate iniziative da parte di Donald Trump contro la Cina a seguito della stretta di Pechino su Hong Kong – molti temevano pesanti tariffe, per ora la Casa Bianca si è limitata a porre fine al trattamento speciale statunitense per Hong Kong – ha consentito ai listini di tirare un sospiro di sollievo.

Dopo la buona performance in Asia, anche i listini Ue sono positivi – confortati anche dal recupero della manifattura a maggio, dopo i lockdown – mentre i future su Wall Street sono incerti. Le Piazze del Vecchio continente scommettono sulla ripresa: Milano modera i guadagni delle prime battute e resta in rialzo dello 0,6%. Meglio le altre: Londra sale dell’1,3%, Parigi dell’1,3% mentre Francoforte resta chiusa per festività.

A Piazza Affari tiene banco la vicenda Mediobanca, con la mossa di Leonardo Del Vecchio che – come anticipato da Repubblica – ha chiesto l’autorizzazione per salire al 20% di Piazzetta Cuccia. Sotto i riflettori anche Cattolica: la compagnia ha recepito le indicazioni dell’Ivass e dato il via al piano di rafforzamento patrimoniale, dal valore di mezzo miliardo.

La Borsa di Tokyo ha terminato la seduta in rialzo dello 0,84%, mentre Hong Kong ha visto il suo guadagno superare il +3% e i listini cinesi di Shanghai e Shenzhen si sono mossi sopra il +2 per centi. “La risposta di Trump, venerdì, è stata piuttosto pacata e meno devastante di quel che i mercati temevano”, ha notato Shane Oliver, a capo della strategia degli investimenti di AMP Capital, all’agenzia finanziaria Bloomberg.

L’euro apre in rialzo sopra quota 1,13 dollari. I mercati guardano con ottimismo alle riaperture, malgrado le protese razziali negli Usa. C’è poi grande attesa per l’evento-principe della settimana: la riunione della Bce di giovedì, durante la quale Christine Lagarde potrebbe annunciare un aumento del piano Pepp. La moneta europea passa di mano a 1,1134 dollari dopo essere schizzata venerdì scorso a un top da due mesi di 1,1145 dollari. Euro/yen sale a 119,72 e dollaro/yen cede a 107,53. Sale la sterlina sopra 1,23 sul dollaro. Lo yuan cinese, che venerdì si era fortemente rafforzato, è rimasto stabile a 7,1367 per dollaro. Apertura in calo per lo spread tra Btp decennali e omologhi Bund tedeschi. Il differenziale avvia la sessione a 189,7 punti, contro i 193 punti della chiusura di venerdì scorso. Il rendimento de decennale è sceso all’1,467%.

La giornata macroeconomica ruota intorno alle rilevazioni sul settore manifatturiero. Si comincia con il forte rialzo a maggio dell’indice Caixin cinese grazie all’allentamento delle restrizioni per il Covid 19 che ha permesso una ripartenza dell’attività. L’indice che registra le impressioni dei manager in azienda ha segnato il maggior tasso di crescita da oltre nove anni. L’indice è infatti risalito a 57,7 (sopra 50 punti indica un’espansione economica) da 49,4 segnalato in aprile. Nella nota del previsore privato si aggiunge, tuttavia, che la domanda resta fiacca in particolare per la caduta degli ordini dall’estero. Diverso il discorso per il Giappone, dove il Pmi si è attestato a 38,4 punti, calando dai 41,9 di aprile e portandosi ai minimi dal 2009.

Nell’Eurozona le dinamiche sono simili: forte recupero rispetto allo choc di aprile, quando si erano aggiornati i minimi storici, ma indicatori ancora sotto il livello della sufficienza. In Italia, ad esempio, il Pmi manifatturiero risale da 31,1 a 45,4 punti, sopra le attese che – ad esempio – da Intesa Sanpaolo collocavano a 39 punti. In Germania si passa da 34,5 a 36,6 punti, in Francia da 31,5 a 40,6 punti.

Tra le materie prime si registra l’avvio di settimana in ribasso per il petrolio, con gli investitori che prendono profitto in vista della riunione dell’Opec del 4 giugno, durante la quale si discuterà di un’estensione dei tagli della produzione oltre la fine del mese, in riposta al crollo della domanda provocato dalla pandemia di coronavirus. Sarebbe un bis della decisione di aprile, quando il cartello con i Paesi alleati (Russia in testa) aveva tagliato la produzione di 9,7 milioni di barili al giorno in maggio e giugno, una mossa senza precedenti. Il Wti luglio cede lo 0,45% a 35,33 dollari al barile, mentre il Brent con scadenza agosto, alla prima seduta come contratto di riferimento, cala dello 0,40% a 37,69 dollari. Un trimestre di estensione dei tagli alla produzione potrebbe, secondo alcuni analisti, riportare il greggio sui 40 dollari; restano sullo sfondo le tensioni geopolitiche Usa-Cina, quelle interne agli States e le incognite sulla ripartenza economica post-Covid.

Quotazioni dell’oro, infine, in aumento sui mercati asiatici con gli investitori che guardano con preoccupazione al crescere della tensione politica in Usa. Il lingotto con consegna immediata guadagna così lo 0,7% e torna sui 1.743 dollari l’oncia.

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