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Social network limitati per gli agenti: il diktat della Polizia postale

Set 7, 2016

BOLOGNA – Gli agenti saranno controllati dai funzionari. I funzionari verranno tenuti d’occhio dai dirigenti. Ma non si è ancora capito bene chi dovrà occuparsi dei dirigenti che sui social network di scivoloni ne hanno già presi, sia pure “in perfetta buona fede”. C’è un paradosso nella nota del ministero dell’Interno sull’atteggiamento che gli operatori di polizia devono tenere sul web.

Un paradosso contenuto in un documento del 25 agosto, del direttore della Polizia Postale Roberto Di Legami, nel quale si chiede al personale di frequentare i social come diritto di ogni privato cittadino, ma di farlo senza dimenticare di essere poliziotti di una “specialità, che ricopre un ruolo importantissimo all’interno della sicurezza di questo Paese e da tempo rappresenta un sicuro punto di riferimento per gli utenti della rete”. Una raccomandazione legittima visto il ruolo, inviata ai dirigenti del compartimento a cui si fa raccomandazione di vigilare, “perseguendo in maniera esemplare le condotte improprie”. Una strigliata certo, ma con un obiettivo di fondo corretto. Un atto necessario, se si pensa ad alcuni episodi spiacevoli del passato. Uno, scrive Di Legami riguarda “un nostro dirigente, individuato come tale da altri utenti”, il quale ha utilizzato “in perfetta buona fede espressioni che, mistificate e strumentalizzate da una blogger e dai suoi numerosi followers, hanno finito per suscitare enorme imbarazzo istituzionale”.

La nota non fa nomi, ma è difficile ritenere che il dirigente a cui fa riferimento non sia Geo Ceccaroli, dirigente del compartimento di Bologna, e che la “blogger” non sia Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, il giovane romano deceduto violentemente dopo l’arresto del 2009. I fatti in questione risalgono alla fine di luglio scorso, quando Ceccaroli lanciò, poche settimane dopo l’approvazione della legge sulla tortura, un tweet quantomeno insidioso: “Ho catturato un Pokemon! Se non lo lascio in fretta rischio di essere condannato per il reato di tortura?””. Immediata la reazione di Cucchi: “Caro Sig. Geo Ceccaroli, che ironia vuol essere questa? La legge sulla tortura è una cosa molto seria, soprattutto in questo momento e soprattutto in Italia. Lei, che mi risulta essere primo dirigente della polizia di Stato – compartimento polizia postale Emilia Romagna, ci fa capire tante cose”.

Un putiferio, ovviamente, che fece il giro del web e che si ricompose quando Ceccaroli spiegò che il suo era solo un tweet, come altri scritti, sui pericoli “derivanti dall’utilizzo dell’applicazione (Pokèmon, ndr.) che nei giorni

passati ha visto tanti ragazzi vittime di incidenti mentre giocavano”. Il due settembre scorso, dopo aver ricevuto la nota da Roma, Ceccaroli, nella qualità di dirigente della Polizia Postale, ha fatto girare una circolare interna a Bologna, raccomandando ai funzionari di verificarne “l’esatta osservanza”. Insomma, funzionari pronti a controllare Facebook e Twitter, ma pronti anche a farsi controllare dai dirigenti. Ma chi controlla i controllori?

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