MILANO – Il vecchissimo maggiordomo del barone Livio Dell’Anna non era in grado di intendere e di volere al momento in cui firmò il suo secondo testamento. Di conseguenza, l’atto notarile con cui affidava a un suo nipote quel che resta dell’eredità di Giacomo Puccini va annullato. Lo stabilisce una sentenza del Tribunale di Milano, che chiude così (almeno per ora) la disputa sui lasciti del compositore, morto 92 anni fa. La sentenza viene pubblicata a pochi giorni dalla rappresentazione della “Madama Butterfly”, che mercoledì prossimo inaugurerà la stagione della Scala.
Il collegio della Quarta sezione civile del tribunale, presieduta da Damiano Spera, ha dichiarato “nullo” il testamento firmato nel 2005 dal maggiordomo Pasquale Belladonna, al tempo ottantanovenne, a favore del nipote Cesareo. L’anziano – ricostruiscono i giudici, citando perizie mediche di allora – era infatti “affetto da una grave forma demenziale” e “privo in modo assoluto della coscienza dei propri atti”. A fare fede, quindi, è il testamento olografo che lo stesso Belladonna compose nel 1999, lasciando “ogni proprietà” ai suoi ventidue nipoti, in parti uguali. E sono stati proprio sedici di loro ad avere promosso la causa nel 2011. “L’annullamento di un testamento pubblico è un fatto rilevante e non consueto. Ora tutti i ventidue nipoti avranno diritto alla loro quota di eredità”, dice l’avvocato Paolo Cardone, che assieme al collega Marcello Marchese ha assistito i ricorrenti nella causa vittoriosa. Sempre ovviamente che Cesario Belladonna non proponga appello. Quello che dovranno spartirsi i ventidue cugini, quasi tutti residenti in Campania, non è poco. Otto milioni di euro in contanti e titoli, una casa a Monte Carlo da cinque milioni, un appartamento milanese da un milione. E ancora: quadri d’autore, valutati almeno 350mila euro, e carte appartenute al grande compositore.
Il percorso che ha portato una parte dell’eredità di Puccini a essere spartita da una famiglia allargata di assicuratori, casalinghe e disoccupati casertani è tortuoso. Una vicenda che si snoda nei decenni, degna del “Gianni Schicchi”, opera di Puccini la cui trama ruota proprio attorno al destino di una ricca eredità. Per recuperare il filo degli eventi, bisogna tornare al 29 novembre 1924, quando il compositore morì a Bruxelles per le complicazioni di un intervento di rimozione di un tumore alla gola, indicando come unico erede il figlio Antonio.
Antonio Puccini, nato dalla relazione segreta del padre con Elvira Bonturi, sposò la ricca milanese Rita Dell’Anna. E nel 1946, sul letto di morte, la nominò propria erede universale. La donna morì sola a Monte Carlo nel 1979, senza eredi diretti. Così gran parte dell’eredità Puccini – che fra immobili e titoli fu poi valutata quasi 120 miliardi di lire – passò al fratello, Livio Dell’Anna. Un bon vivant che amava definirsi barone, possedeva due Rolls Royce, si atteggiava a tempo pieno a erede Puccini e viveva assieme al suo maggiordomo tuttofare, Pasquale Belladonna.
Nel 1973, intanto, la Corte di Cassazione aveva riconosciuto come legittima erede di Giacomo Puccini anche l’unica figlia naturale di suo figlio Antonio, Simonetta. Alla donna, nata fuori dal matrimonio, era stato inizialmente destinato soltanto un vitalizio. Ma, dopo il varo della legge sul diritto di famiglia, le era stato riconosciuto di diritto un terzo dell’eredità. Questo ha portato a partire dalla fine degli anni Settanta a una intricata rete di contese legali, donazioni e accordi fra la donna, il presunto barone Dell’Anna, il Comune di Lucca, la fondazione Giacomo Puccini e altre pubbliche amministrazioni. L’esito felice è che la casa natale del compositore a Lucca oggi è un museo, così come la villa di Torre del Lago. Ma c’era molto altro da spartire.
Nel 1986, alla morte di Livio Dell’Anna, saltarono fuori due suoi testamenti. Uno affidava parte dell’eredità a enti benefici. L’altro era a favore del maggiordomo Pasquale Belladonna. Un lascito contestato da molti, fra cui il commercialista Aldo Giarrizzo, nominato nel 1988 curatore di quel che restava dell’eredità Puccini. Sul destino delle ricchezze del compositore, infatti, aprì un’inchiesta Francesco Greco, oggi procuratore capo a Milano. Da quella vicenda giudiziaria il maggiordomo uscì ammaccato, ricchissimo e “grato alla sorte”, come scrisse. Fino a fare testamento nel 1999 a favore di 22 fra nipoti e cugini.