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“Padre, Dio ci ha abbandonato”. La via crucis del vescovo tra gli sfollati

Ago 26, 2016

ASCOLI PICENO – Le scarpe nere coperte dalla polvere bianca delle macerie. Una piccola croce di legno. Il colletto del clergyman. “No, non mi vesto da vescovo. Non ha senso, soprattutto in giorni come questi. La mia missione non è esercitare un ruolo ma condividere la vita di tutti, quando un abbraccio vale più di una predica”. Giovanni D’Ercole, 67 anni, è vescovo di Ascoli Piceno da due anni. Era vicario all’Aquila, il terremoto lo ha inseguito. La sua Golf nera (“La sognavo da ragazzo, me la sono potuta comprare dieci anni fa”) è stata vista in questi giorni e in queste notti ad Arquata, a Pescara del Tronto ed in tutte le altre dodici frazioni di questo Comune distrutto.

“Ma perché Dio permette tutto questo? Perché ha voluto prendere mia figlia di 36 anni e non me che sono anziana?”. Sono le dieci del mattino. Un’altra vittima è stata sottratta alle pietre di Pescara del Tronto, un’altra madre piange una figlia. Il vescovo è vicino alla donna e le parla piano. “Grida il tuo dolore, gridalo forte, perché Dio ti sta ascoltando”. Le parla ancora a lungo.

Una giornata con il vescovo, in una terra dove i riti religiosi sono quasi scomparsi, perché tutte le chiese sono pericolanti e chiuse e anche i preti dormono in tendopoli. “Mi sveglio sempre prima delle sei. Un’ora di preghiera, poi di solito vado a celebrare la Messa non in Duomo ma in una parrocchia. Non avverto mai, non voglio che si organizzi un’accoglienza. Ma adesso tutto è cambiato. C’è una comunità spezzata, io devo viverci in mezzo”.

Alle 7,30 la Golf arriva alla tendopoli di Pescara sul Tronto. Colazione con gli sfollati e poi visita alla tendopoli di Arquata. Una telefonata dalla prima tendopoli. “Hanno trovato altri corpi “. Ecco allora l’incontro con la donna che ha perso la figlia e con altre donne e uomini che fino a ieri speravano in un miracolo e adesso guardano poveri corpi impolverati.

“Padre – dice una donna ancora giovane – ricorda l’incontro di ieri, quando sono venuta qui davanti alla casa dei miei? Papà, mamma, fratelli, cinque persone, cinque. E io le dicevo: io spero, spero, spero. Sono certa che Gesù ci farà questa grazia “. E poi dice parole che forse nemmeno un vescovo si aspetta. “Sia fatta la volontà di Dio. Sono certa che i miei cari dal cielo mi aiuteranno”.

Nessuno si allontana, quando si avvicina questo strano vescovo vestito come un giovane cappellano. “E nessuno – racconta monsignor Giovanni D’Ercole – ha inveito contro di me. Io non impongo la mia presenza. Mi avvicino con rispetto e col pudore necessario di fronte all’intimità del dolore. Anche quando incontri chi non ama la Chiesa, se coglie in te la semplicità di una relazione, non dico che ti accetti ma sicuramente ti rispetta”.

Bisogna partire, altri poveri corpi sono stati portati all’obitorio dell’ospedale di Ascoli Piceno. “Oggi purtroppo devo passare qui molte ore. Quelli che adesso piangono li ho incontrati quasi tutti ieri, davanti ai cumuli di macerie. Ormai li conosco, so tante cose anche di coloro che adesso sono nelle bare. C’è la donna trovata morta nella frazione di Capodacqua. Il vigile del fuoco era commosso, quando mi raccontava che aveva trovato il suo corpo steso su quello della madre anziana. L’ha protetto e la madre si è salvata. Ho davanti a me il volto di un ragazzo di 15 anni, quando subito dopo la grande scossa sono arrivato a Pescara del Tronto e anch’io mi sono messo a scavare con le mani. Era assieme ad un altro ragazzo, stessa età. Erano in strada, coperti dai sassi di una casa. Ho visto che aveva la faccia nella polvere. Ho provato a girarlo, perché respirasse. Non c’era più nulla da fare”.

Fa impressione, la “Palestra comunale Monticelli – Fitness, danza, calcetto, basket” – trasformata in camera ardente. Nel pomeriggio ci sono già tredici bare ma sul pavimento sono stesi 57 lenzuoli sui quali saranno deposte altre bare. Fa venire in mente l’hangar della caserma di Coppito, dove furono portati i morti dell’Aquila.

Altre bare riempiono la Cappella della Resurrezione nell’obitorio di fronte alla palestra. “Anche oggi celebrerò la messa per questi morti e per i loro cari, alle 18. Poi andrò a cena nella tendopoli di Arquata. Starò vicino a chi piange, il cristianesimo è un abbraccio”. Poi via a Montegallo, un’altra frazione. “Devo organizzare una piccola tendopoli. Il lavoro lo fa la Protezione civile ma a me spetta trovare un sacerdote che abiti con gli sfollati capace di trasformare la comunità, che si crea artificialmente nelle tende, in una vera famiglia. Posso fare un appello? Chi ci vuole aiutare, ci mandi delle strutture in legno, dove ci si possa riunire. Per stare vicini gli uni agli altri, e per pregare”.

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