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Oxfam accusa: paradisi fiscali anche nella Ue

Nov 28, 2017

ROMA – La web tax non decolla. Le grandi multinazionali del web continuano indisturbate a eludere il fisco scegliendo la residenza fiscale in Paesi dove la tassazione è più favorevole. E lo scandalo deiParadise Papers, che ha mostrato come i paradisi fiscali consentano ai super-ricchi di risparmiare miliardi di dollari, è ancora lì a testimoniare come si può tranquilamente eludere il fisco senza incapare in sanzioni. Tutti elementi che hanno convinto la Ue ad avviare un processo di blacklisting, una lista nera dei paradisi fiscali. Dovrebbe essere presentata durante il prossimo Ecofin del 5 dicembre.

“Ma è una lista poco efficace e poco credibile”. Il giudizio tagliente arriva da Oxfam, storica società di beneficenza inglese, che ha pubblicato una sua controlista, a sua detta più verosimile, almeno per un motivo. La Ue, questa l’accusa, non ha tenuto conto dei 28 paesi dell’Unione. Oxfam, al contrario, l’ha fatto. E la conclusione è che per essere verosimile la blacklist targata Ue dovrebbe includere altri 35 paesi extra Unione, ma soprattutto quattro stati membri della stessa Unione: Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi e Malta. Tutti Paesi che in un modo o in un altro hanno tassazioni che nel tempo hanno favorito le multinazionali, a cominciare da quelle del web. La contropubblicazione di Oxfam ha un titolo significativo Lista nera sfumata di grigio. Un colore dovuto “alle forti pressioni politiche interne ed esterne, che l’Unione ha lasciato che prevalessero”, accusa Oxfam.

LA MAPPA NAVIGABILE

Shadow EU tax haven blacklist - map

L’Unione avrebbe infatti analizzato 92 paesi e giurisdizioni extraeuropee sulla base di una serie di criteri che includono la trasparenza fiscale e l’esistenza di regimi fiscali che favoriscono il trasferimento di profitti su larga scala. Oxfam ha usato gli stessi criteri sia sui 92 presi in esame dalla Ue, sia sui ventotto dell’Unione. Il timore di Oxfam è che i governi Ue, nonostante evidenze piuttosto indiscutibili, finiranno col compilare una lista nera annacquata e poco attendibile. La presidenza Ue, attualmente appannaggio di Malta, si è pubblicamente espressa a favore di una lista nera europea “vuota”, ricorda Oxfam. Un primo punto a sfavore quello di non includere i paesi europei. Non solo. Oxfam sostiene che in un recente incontro con i ministri delle Finanze europei, la Svizzera, uno dei paesi sotto esame extra-europei, ha dichiarato senza mezzi termini di aspettarsi di non essere inserita nella lista. Dunque quello della Ue sarebbe un bluff, anche facile da smascherare, tant’è che Oxfam l’ha fatto.

“La nostra simulazione mostra come dovrebbe presentarsi la blacklist europea se l’Ue applicasse i propri criteri senza farsi condizionare da pressioni politiche di parte – ha dichiarato Aurore Chardonnet, policy advisor di Oxfam sui dossier di giustizia fiscale – . Ma il processo ufficiale di blacklisting avviene nella più totale segretezza, lasciando i cittadini all’oscuro di tutto e permettendo ai paesi-paradisi di sfruttare il proprio potere d’influenza politica”. Una segretezza che non piace a Oxfam. “Il rischio – aggiunge Chardonnet – è quello di ritrovarsi ad avere a che fare con un documento tanto vuoto, quanto inutile ai fini della risoluzione di un problema così grave. Se l’Ue vuole davvero porre fine a scandali fiscali come Paradise Papers, Panama Papers, e Luxleaks il primo passo non può che essere quello di produrre una lista nera robusta, oggettiva e coerente”.

What a real blacklist of #taxhavens would look like if the EU actually applied their own criteria objectively: https://t.co/Czu9vREnDE#EvenItUppic.twitter.com/qVn5J1981H

— Oxfam International (@Oxfam) 27 novembre 2017

Oxfam mette in luce come i profitti registrati nei paradisi fiscali siano totalmente disallineati rispetto alla reale attività economica che vi viene condotta. “Alcuni Paesi – è scritto nel documento – attraggono un volume paradossale di utili da royalty, servizi finanziari o altri tipi di prestazioni. Le Bermuda, sede di Appleby lo studio legale al centro dei Paradise Papers sono meta di un volume di utili d’impresa pari a circa 4,5 volte il loro Pil, mentre alle Bahamas il volume registrato di profitti societari ha doppiato il Pil. Le multinazionali fanno spesso ricorso a prestiti artificiali infragruppo per trasferire utili tramite pagamenti di interessi tra le loro sussidiarie: gli utili riconducibili ai pagamenti di interessi rappresentano il 73% del Pil delle Isole Cayman, il 40% nelle Bermuda, il 24% in Lussemburgo. Paesi che corrono dunque ma a scapito delle finanze pubbliche degli altri.

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