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Omicidio Caccia: nuovo processo, ma i giudici togati sono gli stessi

Feb 10, 2017

Nuovo processo, stessi giudici. E’ ripartito da zero il processo per l’omicidio di Bruno Caccia, il procuratore capo di Torino, ucciso la sera del 26 giugno 1983,

davanti a un nuovo collegio della Corte d’Assise di Milano. Il pm, Marcello Tatangelo, ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato dopo che, a causa di un errore di procedura, un primo processo nei confronti del presunto killer, Rocco Schirripa, detto Rocco Barca, esponente della ‘ndrangheta piemontese, si è chiuso con una sentenza di “non doversi procedere per assenza di condizioni di procedibilità” il 30 novembre. Ma la sorpresa all’apertura del processo è che la Corte, rispetto al precedente dibattimento, ha sostituito i giudici popolari ma non quelli togati. Il presidente del collegio è ancora una volta Ilio Pacini Mannucci, lo stesso che ha decretato il non luogo a procedere pochi mesi fa. Anche se la Corte non ha deciso nel merito, “abbiamo depositato una ricusazione dei giudici che a nostro avviso sono incompatibili” ha detto in aula l’avvocato, Mauro Anetrini.

Schirripa è accusato ancora una volta di essere l’esecutore materiale dell’omicidio. Lo incastrano le intercettazioni tra Domenico Belfiore, unico condannato (come mandante) per l’omicidio, e il cognato, Placido Barresi. Ma non solo. Perché nel frattempo la procura di Milano e la squadra mobile di Torino che ha fatto le indagini, hanno raccolto la collaborazione di un nuovo pentito, Domenico Agresta, che indica Schirripa come autore dell’omicidio insieme a una seconda persona che gli inquirenti hanno voluto tenere segreta.

I difensori, Mauro Anetrini e Basilio Foti, hanno accusato la procura di Milano di aver leso il diritto alla difesa dell’imputato non rivelando il nome del presunto complice e aspettano anche il pronunciamento della Cassazione fissato per il 22 marzo contro l’ordinanza con cui il gip di Milano, Stefania Pepe, ha convalidato il fermo e disposto per

Schirripa una nuova misura cautelare in carcere. Pepe nel provvedimento ha motivato dicendo che, in sostanza, malgrado il vizio procedurale, quasi tutte le prove a suo carico restano valide. I difensori di Schirripa hanno deciso di “saltare” il Tribunale del Riesame e ricorrere direttamente in Cassazione contro l’ordinanza sostenendo, invece, la “illegittima raccolta e utilizzazione delle prove”.

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