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Oltre Bitcoin: pregi e difetti di una criptovaluta di stato

Ott 28, 2017

Spesso si sentono frasi come “Il Bitcoin rimpiazzerà le valute avente corso legale negli Stati, e ci renderà indipendenti dalle banche!”. Sicuramente è una possibilità, e molti ne sono profondamente convinti – e sperano che le crypto arrivino un giorno alla diffusione capillare dell’Euro o del Dollaro, sostituendole del tutto. Ma è davvero possibile? E se dovesse succedere, come sarebbe lo scenario risultante?

Nessuno possiede la sfera di cristallo, ma agli scettici bisogna sempre ricordare alcuni esempi: trent’anni fa sarebbe stato impensabile fare il check-in per il volo da casa propria (figuriamoci con il telefono), o fare la spesa spaparanzati sul proprio divano. La lista di cose che trent’anni fa sarebbero state fantascienza è potenzialmente molto lunga. Dunque, estrema cautela prima di dire “impossibile”.

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Immagine: Alexan66 / Depositphotos

Potrebbe anche essere, dunque, che le “nuove valute” sostituiscano quelle tradizionali. Proviamo a immaginare che cosa significherebbe. Un tale scenario sarebbe auspicabile? Porterebbe più pro che contro? Dove penderebbe la bilancia se non esistesse un controllo centralizzato?

Il ruolo di una Banca Centrale

Innanzitutto è interessante puntualizzare che ci sono state epoche dove non erano presenti banche centrali, e non sono state esattamente periodi floridi ed equi per l’umanità. Le banche centrali comparvero nel XVII secolo. Inizialmente erano banche che facevano gli interessi del sovrano poi, progressivamente, si sono avvicinate sempre più ai mandati di oggi: garantire la stabilità dei prezzi, e possibilmente una crescita dell’economia.

Le banche centrali svolgono infatti un ruolo cruciale a livello macroeconomico: esercitano un diretto controllo sui tassi di interesse e la quantità di moneta in circolazione. E perché è importante controllare il quantitativo di moneta in circolazione? Perché l’economia, se lasciata operare in autonomia può creare forti disagi alle popolazioni.

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Immagine: pandionhiatus3 / Depositphotos

Viene facile comprendere come mai: pensiamo alla crisidel 2008 scaturita dalle concessioni di mutui a clienti che non sarebbero mai stati effettivamente capaci di ripagarli, manifestatasi in tutta la sua violenza con collasso di Lehman Brothers. Quest’ultimo evento catastrofico causò la diffusione di esternalità negative così forti da condurre in recessione prima gli USA, poi altri Stati del mondo. Immediatamente vennero presi provvedimenti, con tassi di interesse portati prima a zero e poi addirittura in territorio negativo, in modo tale da scoraggiare le banche commerciali dal detenere depositi presso la Banca Centrale di riferimento.

Oltre a ciò vennero adottate misure straordinarie come il Quantitative Easing(QE), manovra che – semplificando molto – consiste nell’acquisto di titoli di Stato con stock di moneta stampati ad hoc. L’idea era che così facendo le banche commerciali avrebbero avuto un forte incentivo ad investire tutta quella nuova liquidità nell’economia reale concedendo mutui e finanziando imprese, così da stimolare la ripresa economica.

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Il grafico illustra la variazione del quantitativo di asset in possesso delle banche centrali durante i QE. Si nota come abbia assunto praticamente la forma di una retta con pendenza positiva, tale è stata la costanza di tale intervento di iniezione di liquidità. La Banca Centrale Europea acquista ancora oggi titoli per un controvalore pari a 60 MLD di Euro al mese.

Interventi di questo tipo hanno funzionato molto bene in determinate economie; quella tedesca per esempio si è ormai del tutto ripresa, quella statunitense ha un tasso di disoccupazione ormai vicino al 5%, quasi piena occupazione. Altrove hanno portato meno benefici, eloquente è il caso dell’Italia con un PIL ancora al di sotto del massimo registrato immediatamente prima della crisi. Ma contano anche dinamiche esterne alle politiche delle Banche Centrali e non ha senso approfondirle in questo luogo.

Una criptovaluta di Stato come potrebbe essere?

Dopo questa lunga – spero non troppo noiosa – ma doverosa premessa, quel che bisognerebbe considerare è: in un’economia perfettamente decentralizzata senza controllo alcuno sullo stock di moneta che rimane totalmente indipendente da congetture economiche, si starebbe effettivamente meglio? Forse, ma sembra poco probabile.

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Se le banche centrali non avessero messo in atto tali manovre la crisi avrebbe potuto rendersi anche più dolorosa e soprattutto perdurare più a lungo. Il problema può manifestarsi anche al contrario: in un’economia troppo “allegra” possono svilupparsi problematiche opposte come quelle relative ad aumenti repentini dell’inflazione, vero assassino silenzioso del risparmio e dell’investimento. Anche in tal caso una Banca Centrale può intervenire, questa volta nel senso opposto a quello descritto in precedenza.

Veniamo ora all’attualità: è notizia di settimana scorsa l’interessamento della Banca Centrale di Russia all’emissione di un “Cryptorublo”. Dichiarazione d’intenti seguita a quella che sanciva il ban delle altre crittovalute nel paese.

Ma perché questo ostracismo? La risposta è banale: non esiste banchiere centrale che non tema l’ascesa delle cyptocurrencies. Fermarle da un punto di vista tecnologico è molto difficile, forse impossibile, e le conseguenze sono o potrebbero essere quelle descritte.

Da prendersi con le pinze la dichiarazione del ministro alle comunicazioni Nikolay Nikiforov: “Dichiaro che il cryptorublo sarà presto realtà, e ciò avverrà per una semplice ragione: qualora non dovessimo emetterlo, tale provvedimento verrebbe adottato dai vicini europei, asiatici e/o americani”. La realtà è che una diffusione capillare di Bitcoin, Monero, Litecoin o Verge manderebbe in soffitta le possibilità di mettere in atto vere politiche economiche, lasciando dunque l’economia russa in balìa di sé stessa e del mercato.

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Immagine: Vicdemi / Depositphotos

I cryptorubli, stando alle dichiarazioni, si potranno convertire in rubli tradizionali in ogni momento, ed i profitti derivanti dal trading sul cryptorublo verranno tassati al 13%. La stessa sorte toccherà a tutti i cryptorubli di cui ogni possessore non saprà dichiarare la provenienza.

La criptovaluta di Stato sarà 100% pre-mined e con tutta probabilità funzionerà su una Blockchain proprietaria realizzata ad hoc. Ciò consentirà allo Stato di conoscere in ogni momento la ricchezza di qualunque cittadino ed eventualmente di effettuare qualsiasi tipo di tassazione a costo zero alla quale non potrà opporsi nessuno.

Un esempio sono quelle lump-sum: tipicamente effettuate in quota fissa (ipotizziamo un 15%) a praticamente qualunque cittadino con finalità redistributive non distorsive. Attenzione, non si tratta affatto di pura teoria economica: sotto il mandato di Margaret Thatcher ogni cittadino britannico venne tassato per il solo fatto di possedere la facoltà di votare ed essere iscritto ad una lista politica. Passò alla storia come “Poll tax”. Qui in Italia abbiamo avuto a volte le imposte “una tantum” – molti ricorderanno il prelievo forzato del Governo Amato da nostri conti correnti, tra il 9 e il 10 luglio 1992.

Certamente delle valute fiat su Blockchain consentirebbero un azzeramento dell’evasione fiscale ed un’emersione di nero e sommerso, ma chi insegnerebbe come usarle e spenderle ai cittadini più anziani scarsamente a proprio agio con la tecnologia?

Insomma, la Blockchain e le distributed ledger technologies incalzano e si fanno sempre più strada nelle nostre vite. E voi che ne pensate? Sareste a favore di un ipotetico “Crypto-Euro” sul modello dell’equivalente russo? Preferireste confidare nell’ascesa delle criptovalute che già avete in portafoglio? Diteci la vostra!

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