di Fulvio Solms
martedì 11 ottobre 2016 20:47
ROMA – «Un’altra strategia Tafazzi per il muretto Ferrari», recita il tweet con la foto del comico Giacomo che si randella il bassoventre. Oibò, è riemerso Luca Baldisserri, l’ingegnere di macchina di Michael Schumacher nella Ferrari vincitutto, un pazzo pericoloso in grado di inventare un successo impossibile con una strategia a quattro pit stop (GP Francia 2004). Nel 2003 fu rimosso e precipitosamente richiamato, ciò che consentì a Schumi di continuare a dominare. Baldisserri che parla di Ferrari e Formula 1, insomma, non è Flavia Vento che discetta di fusione fredda: vale la pena di ascoltarlo. Partendo proprio da Tafazzi. «A Suzuka per capitalizzare le buone prestazioni della macchina bisognava rendersi la vita semplice, non azzardare con gomme più prestazionali. Non era scontato che avrebbero tenuto per 19 giri, tra l’altro Raikkonen nei primi sette-otto con le hard era andato fortissimo».
Questi ragionamenti da ingegnere del lunedì non le piacevano, un tempo.
«Vero, ma stavolta si è perso il podio pensando di riprendere Hamilton con le soft, sottovalutando il fatto che lui abbia il pulsantino con il surplus di potenza».
Si seguono i modelli di calcolo. Voi inventavate.
«È vero, ma fanno tutti così. Si dà troppa importanza alla statistica, che segnala quali strategie permettono di fare più punti. Ciò fa perdere di vista la marcatura, team contro team o anche pilota contro pilota, che è più importante. Non sono i dati a fare la differenza, ma la loro interpretazione».
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Lei l’ha fatto sino a fine 2009: perché fu rimosso?
«Avevo sbagliato in Malesia, ma fu giusto così: c’erano preoccupazioni personali, non ero sereno. Sono comunque rimasto nel team occupandomi dell’Accademia FDA, fino al gennaio scorso».
Com’è cambiata la Ferrari dai suoi tempi a oggi?
«Purtroppo né Marchionne né Arrivabene hanno esperienza di corse, una cultura che oggi il vertice della Scuderia ha perso: non sono più un team, ma un gruppo di persone spaventate. Lì dentro c’è un clima di terrore, i ragazzi (li chiama così, ndr) non inventano, non decidono per la paura di essere allontanati con disonore».
Non crede nella nuova organizzazione orizzontale.
«Sì, perché non vuol dire nulla. La catena di comando in Formula 1 deve essere più che verticale: deve essere militare. I numeri uno sono lì per indicare la strada, motivare le persone, decidere, e se sbagliano non vanno mandati via. Questo è successo ad Allison: una grave perdita».
Ci sarà qualcosa da salvare.
«Certo che c’è. Alcuni reparti storici lavorano molto bene, a esempio quello dei motori diretto fino a poco tempo fa da Binotto. Dopo il 2014 ha fatto miracoli».
Come vede Binotto al vertice tecnico?
«Mattia sa motivare la gente, ha grande esperienza ma non è un direttore tecnico. Sa benissimo di non poter disegnare una macchina e di non avere conoscenze profonde sul piano telaistico, aerodinamico, meccanico. Io lo vedrei molto bene come team principal, piuttosto».
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Scenario drammatico, con le nuove macchine in arrivo nel 2017.
«Da decenni non capitava un regolamento che incrementa le prestazioni: aerodinamica e aderenza meccanica peseranno di più. Lo spazio per il colpo di genio ci sarà sempre, ma personalmente non imposterei il progetto su una rischiosa idea di avanguardia. Piuttosto punterei su una macchina che offre margini di sviluppo, da sfruttare poi nel corso della stagione. È questo che farà la differenza».
Non tranquillizzante, visto come la SF16-H è regredita in questa stagione.
«A Suzuka si è visto qualcosa di buono. Ma spero non stiano sfruttando risorse per vincere un gran premio, obiettivo cosmetico, inutile, il tutto a scapito dell’intensità del lavoro sul progetto 2017. Io avrei mollato il colpo già a luglio».
Domanda da bar: quando tornerà a vincere la Rossa?
«Quando saranno in grado di raggiungere un’organizzazione efficiente e la stabilità, con idee valide e piloti che non fanno errori».
Ha detto poco.
«Beh i soldi ci sono, con l’autorevolezza politica ci siamo, ma si vince con la stabilità: non bisogna mettere fretta a chi lavora. Capisco che Marchionne voglia vincere subito, ma in Formula 1 non funziona: difficile farcela in meno di tre anni».
I piloti hanno colpe?
«Raikkonen va meglio del 2015, Vettel molto peggio: importante che la Ferrari lo recuperi e se lo tenga stretto, almeno nel breve termine. Anche lui si è fatto prendere dal vortice dell’esaltazione lo scorso anno, ma il problema non sono loro».
Verstappen è il nuovo Schumacher?
«Gli riescono cose complicate. Ha saltato le formule minori, catapultato in Formula 1 dopo sette mesi di Formula 3: è scaltro come Michael. Meno impostato, ma ha un grandissimo potenziale».
Lei quando era alla FDA se l’è fatto sfuggire.
«Non nego. All’inizio del 2014 notammo che aveva una marcia in più alla Florida Winter Series. Ma non avremmo mai potuto mandarlo direttamente in Formula 1 come suo padre voleva, e la Red Bull ha fatto grazie alla Toro Rosso».
La ritroveremo presto in Formula 1 con Lance Stroll, il ragazzino canadese che l’ha trascinata dalla Ferrari alla Prema.
«Ha un buon talento di base e lo stile di Kimi, che porta tanta velocità in curva. Sa mettersi in gioco e lavorare duro su se stesso, ciò che non è scontato perché viene da una famiglia molto abbiente. Avere budget illimitati aiuta dal punto di vista economico, non da quello motivazionale, ma lui è molto serio. Ha appena vinto l’EuroF3, dove l’impostazione di guida non è lontana da quella della Formula 1. Il resettaggio cui saranno costretti tutti i piloti nel 2017 per guidare le nuove macchine aiuterà i debuttanti».
Il cuore le suggerisce mai l’idea di fare lo stesso percorso accanto a Mick Schumacher?
(lunga pausa) «Mai? Ci penso ogni giorno».