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L’incastro proteico anti Covid: la ricerca sulle terapie corre svelta

Set 3, 2021

A proposito dello sviluppo di terapie per fronteggiare la pandemia da Sars-CoV-2, vale la pena presentare i risultati non solo perché rappresentano un traguardo utile sulla strada di una terapia contro Covid-19, ma anche perché sono frutto dell’incontro fra la moderna biologia molecolare e la scienza dell’informazione. Siamo in molti ad aver familiarizzato con un dato che ci proviene dallo studio del virus Sars-CoV-2: l’infezione dipende dall’interazione fra la proteina Spike, e precisamente fra una sua porzione chiamata Rbd (Receptor Binding Domain) e la proteina umana Ace-2. Questa interazione consiste nell’incastro fra superfici complementari, così che il dominio Rbd si accomoda perfettamente con una parte della superficie tridimensionale di Ace-2, un po’ come avviene per due pezzi di un puzzle, solo in tre dimensioni anziché due.

Questo tipo di interazione, chiamata “riconoscimento molecolare”, è alla base di moltissimi fenomeni che si svolgono negli organismi viventi; potremmo anzi dire che sostanzialmente tutto il complesso macchinario molecolare che costituisce la vita funziona per mezzo di “incastri” specifici fra strutture di proteine e di macromolecole diverse, un po’ come avviene per gli incastri tra gli ingranaggi di una macchina prodotta dall’uomo (solo in modo molto, molto più complicato). Proprio perché il riconoscimento molecolare è quello che determina il funzionamento delle macchine biologiche, da molto tempo si è capito che per interferire con quest’ultimo – per esempio, per riparare pezzi difettosi – sarebbe utile produrre proteine con forme tridimensionali precise, capaci di incastrarsi al posto giusto per correggere il funzionamento di un meccanismo nel modo desiderato.

Quando ero uno studente, l’obiettivo della mia tesi di laurea era appunto provare a ottenere da zero una miniproteina con una forma tridimensionale ben determinata, tale da poter esercitare certe specifiche funzioni; il tutto mi ha impegnato per quasi due anni, con un successo solo parziale. Il problema fino a tempi recentissimi, infatti, è stato che noi non sappiamo come disegnare una proteina, cioè una stringa di componenti più piccoli di 20 tipi diversi chiamati amminoacidi, che assuma una forma tridimensionale ben precisa. Noi non lo sappiamo ma, come abbiamo visto quando su queste pagine ho introdotto la nuova intelligenza artificiale di Google AlphaFold 2, i computer hanno invece imparato a farlo.

E così nel 2020 un gruppo di ricercatori provenienti da diverse istituzioni americane ha deciso di provare un approccio ambizioso contro Sars-CoV-2: conoscendo la forma tridimensionale della proteina Spike del virus, determinata all’inizio dell’anno, si è chiesto se non fosse possibile ottenere tramite l’aiuto dei calcolatori delle miniproteine dalla forma complementare in grado di adattarsi perfettamente al domino Rbd, ricoprendolo in maniera tale da impedire l’interazione con Ace-2 e quindi l’infezione. Hanno cioè provato a ottenere una “zuppa proteica” in grado di adattarsi perfettamente al dominio Rbd e interporsi tra questo e Ace-2.

A Ottobre 2020, hanno pubblicato su Science i primi risultati: le loro miniproteine avevano esattamente la forma tridimensionale predetta dal calcolatore, legavano fortemente il domino Rbd della proteina Spike virale e impedivano a questa di agganciare la proteina umana Ace-2. In questo modo, è risultata inibita completamente l’infezione in vitro di cellule esposte al virus, con il vantaggio di usare dei prodotti molto stabili e relativamente economici. Il passo successivo è stato sperimentare le miniproteine in vivo. A luglio 2021, sono stati presentati dei risultati davvero ottimi ottenuti in topo.  Innanzitutto, le miniproteine sono state capaci di prevenire il 100 per cento della letalità dopo esposizione a un carico di virus altrimenti mortale; ciò è corrisposto alla prevenzione dei danni polmonari e della patologia indotta dal virus. Inoltre, se somministrate per via nasale da 5 giorni prima dell’infezione a tre giorni dopo, le miniproteine hanno mostrato lo stesso effetto protettivo: dunque esse hanno mostrato anche capacità profilattica, non solo curativa, senza essere esse stesse immunogene e mostrando buone proprietà farmacologiche. Infine, rispetto per esempio agli anticorpi monoclonali, le miniproteine disegnate al calcolatore hanno mostrato di perdere molto meno efficacia con le varianti più recenti del virus; questo perché sono dirette contro una struttura del virus, il dominio Rbd, che può cambiare relativamente di meno, dovendo mantenere la capacità di riconoscere Ace-2.

Noi non possiamo ancora sapere se questo promettente approccio porterà, alla fine, a dei prodotti terapeutici reali; possiamo però apprezzare come l’essere riusciti in questo ultimo anno a decifrare almeno parzialmente con un calcolatore le regole che determinano la struttura tridimensionale di una proteina, fissata la sua sequenza in amminoacidi, è un traguardo che apre davvero possibilità notevoli. Confermando, ancora una volta, come a partire dalla scienza di base – dalla comprensione in questo caso del codice e dei meccanismi fondamentali della vita – si possa arrivare ad applicazioni altrimenti impensabili.

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