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L’Argentina e la corsa senza freni del ‘dollaro blu’

Giu 30, 2022

AGI – “Dolares! Cambio, cambio, dooolares!”: le voci dei cambia-dollari non ufficiali accompagnano il ritmo della vita metropolitana e risuonano nelle strade di Buenos Aires. Totalmente illegali, ma perfettamente tollerati, gli “arbolitos” (piccoli alberi) offrono “il tasso di strada”, al doppio del tasso ufficiale: in questi giorni circa 230 pesos per 1 dollaro, invece di 130. “Arbolitos”? Per via delle “foglie verdi” (il verde del dollaro), che figurativamente tengono a distanza.

I numeri economici dell’Argentina sono ormai da capogiro. Martedì ha toccato un nuovo record: il dollaro ‘blu’, ossia la valuta degli Stati Uniti nel mercato parallelo, è stato scambiato ai circuiti non ufficiali a 239 pesos al terzo rialzo giornaliero consecutivo ed è stato venduto a 242 in alcune province del Paese, mantenendo così la sua tendenza al rialzo.

Il tasso non ufficiale è aumentato insomma di 31 pesos nell’ultimo mese, con il divario di cambio tra il tasso ufficiale all’ingrosso che ora si trova all’89% – il livello più alto da tre mesi. Ciò vuol dire che rispetto al dollaro, nel mercato parallelo, il peso in un solo mese si è deprezzato del 15% e lo scarto tra la banconota libera e quella ufficiale ammonta a circa l’83%

Il tasso di cambio ufficiale invece è salito di 17 centesimi a 124,88 pesos, con un aumento del 21,6% quest’anno. Anche i tassi di cambio finanziari hanno raggiunto livelli record: il dollaro spot è salito del 2,9% a 253,35 pesos e il MEP o dollaro di borsa è salito del 2,6% a 247,57 pesos.

Le autorità sono confuse; il presidente della Banca Centrale, Miguel Pesce, ha affermato che le misure adottate nelle ultime ore hanno sempre funzionato in Argentina e che sono necessarie per evitare una “brusca svalutazione”. In questo clima di nervosismo, il Presidente Alberto Fernández conclude la sua partecipazione in Europa al G7.

La prima spinta ai tassi di cambio liberi è stata la crisi del debito del peso. Subito sono arrivate le nuove decisioni della Banca Centrale di limitare l’accesso alla valuta estera per i beni di lusso, come auto e aerei di lusso, e di estendere l’accesso alla valuta estera per le piccole e medie imprese al 115% del valore importato nel 2021, dal limite precedentemente imposto del 105%, fino a un massimo di un milione di dollari.

Il problema è che l’Argentina non ha accesso al credito; l’unico introito di dollari avviene attraverso le esportazioni. Questo è il problema di fondo, la mancanza di finanziamenti dovuta alla mancanza di fiducia. Tutto è in contanti.

I campanelli d’allarme stanno suonando forte, con i timori di una recessione globale e di un’inflazione in aumento che alimentano le paure degli investitori su possibili default, visti i mancati obiettivi con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e gli immancabili disordini politici.

A questo si aggiunge il fatto che il Paese sudamericano ha visto le sue obbligazioni sprofondare ai minimi storici, la pressione sulla valuta del peso è in aumento e l’elevata spesa per le importazioni di energia stanno colpendo duramente la bilancia dei pagamenti argentina, limitando la sua capacità di accumulare le tanto necessarie riserve estere.

L’inflazione è vista aumentare al 75% come media d’anno – un tasso di gran lunga superiore agli obiettivi concordati con il Fondo Monetario Internazionale (38%-48%) e pesa su stipendi, risparmi e investimenti – i tassi di interesse sono saliti al 52% e anche le esportazioni sono in calo (l’Argentina è un importante fornitore mondiale di soia, mais e grano) mettendo così a rischio la capacità del Paese di raggiungere un accordo da 44 miliardi di dollari concordato con l’Fmi.

La scorsa settimana il governo ha effettuato un massiccio swap del debito locale per posticipare i pagamenti di giugno. E diventa sempre più difficile costituire le proprie riserve valutarie, fondamentali per far fronte ai futuri obblighi di debito. Le riserve lorde ammontano a circa 41 miliardi di dollari, ma quelle nette sono di gran lunga inferiori: secondo l’Fmi, erano pari a 2,3 miliardi di dollari alla fine del 2021. 

Nel frattempo, la Banca Centrale si è ritrovata con un saldo negativo di circa 202 milioni di dollari per gli interventi effettuati sul mercato dei cambi nel mese di giugno. 

Intanto il rischio paese messo a punto da JP Morgan, che misura il divario dei tassi dei Treasury statunitensi rispetto a quelli dei mercati emergenti, è salito a 2.508 punti, ai massimi dal 3 luglio 2020.

Il ruolo predominante del dollaro lo si intuisce anche nella vita di tutti i giorni: il biglietto verde – e il suo valore rispetto al precario peso – è il ritmo dei conti degli argentini, febbre e termometro di un’economia traumatizzata da crisi ricorrenti e inflazione galoppante. Gli argentini – a cui è vietato prelevare più di 200 dollari al mese – si accaparrano in strada dollari appena possono, appena ricevono lo stipendio, abbandonando il peso. Si tratta di una diffidenza consolidata, proprio come quella nei confronti dei depositi bancari. Anche se questo significa cambiare i dollari in pesos quando si fanno certi acquisti o si pagano le bollette.

Alcuni bar e negozi del centro espongono un cartello che indica il tasso di cambio (in pesos) se si paga in dollari. Ovviamente il messaggio è per i turisti, perché un argentino sa che non dovrebbe mai liberarsi dei suoi dollari. Che si tratti dell’acquisto di un’auto, della pianificazione di un costoso trattamento medico o dell’affitto di un appartamento, i conti vengono fatti in biglietti verdi. Cresce infatti la fronda di chi pensa che bisogna ormai mettere in conto una “dollarizzazione” dell’economia e smettere di far finta che non esista.

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