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La Pompei nascosta, parte il recupero della Casa dei Casti amanti

Feb 4, 2017

È il luogo più emblematico di Pompei, ma anche il più negato. Prende il nome da un quadretto affrescato sulla parete di fondo di un triclinio, la stanza da pranzo di una vasta casa su via dell’Abbondanza: un uomo e una donna che si baciano sdraiati sui letti triclinari durante il banchetto, i “casti amanti” appunto. Scavata del 1987, visitabile per 8 mesi nel 2010 solo su prenotazione, la domus (in realtà un intero isolato, con abitazioni e un panificio) non è mai stata aperta al pubblico.

Eppure, aggirandosi tra le stanze e percorrendo le passerelle realizzate nel 2010 tra una selva di tubi e impalcature che reggono la copertura, si ha l’impressione che l’eruzione sia appena passata: qui, caso forse unico a Pompei per ampiezza e completezza, si leggono – anche per un occhio non esperto – i segni della furia distruttiva del Vesuvio che nel 79 dopo Cristo seppellì la città, assieme a Ercolano e Stabiae.

Ecco un’intera parete, lunga tre metri, crollata sullo strato di lapillo: conserva ancora la grata della finestra. Venne abbattuta dalla forza del surge, il flusso di cenere finissima mista ad altri detriti vulcanici che rotolò dal cono del Vesuvio verso la pianura come una sorte di valanga. Siamo all’alba del 25 agosto del 79 dopo Cristo, e le nubi ardenti cancellarono ogni forma di vita, rendendo l’aria irrespirabile e bruciando all’istante uomini e animali. Quel materiale è perfettamente leggibile nella sequenza degli strati di seppellimento: qua e là si leggono in sezione di scavo i resti di tegole, pezzi di murature.

Ecco gli scheletri di sei asini e un mulo, sorpresi dalla morte all’interno della stalla: gli animali venivano utilizzati per far girare le quattro macine del panificio e per distribuire il pane dentro e fuori città. Il complesso comprende la Casa-panificio dei Casti amanti, la Casa del Primo Cenacolo colonnato, quella del Secondo Cenacolo, due botteghe e la Casa dei Pittori a Lavoro: in quest’ultima domus, danneggiata dal terremoto del 62 dopo Cristo, nella grande sala, l’oecus, lavorava una squadra di pittori nei giorni prima dell’eruzione: ecco i disegni a ocra delle decorazioni architetture e le scene affrescate non ancora finite.

Un viaggio a ritroso nel tempo, fino a ora riservato solo agli specialisti. Ed è per questo che con il Grande progetto Pompei la Soprintendenza ha deciso di intervenire.

Il primo step è il progetto esecutivo di restauro e di riconfigurazione delle scarpate della zona non scavata che incombe sull’edificio antico, posto nella Regio IX, insula 12. Quella stessa zona, dove – qualche decina di metri più avanti – nel novembre 2010 crollò la Schola Armaturarum.

Tra due settimane il direttore della soprintendenza, Massimo Osanna, approva il progetto redatto dalla B5 srl di Francesca e Ugo Brancaccio. A fine marzo, a cura di Invitalia, che è centrale di committenza, la pubblicazione della gara, tra ottobre e novembre l’avvio dei lavori. Che dureranno tre anni. Per poter visitare la Casa dei Casti Amanti bisognerà attendere la fine del 2020. In quelle stanze e in quel giardino entreranno mercoledì prossimo il ministro dei Beni e della attività culturali Dario Franceschini e la commissaria europea per gli Affari regionali, Corina Cretu, che ha la supervisione sul Grande progetto Pompei, il piano dal 105 milioni di euro cofinanziato dall’Ue. A loro sarà illustrato il progetto da 10 milioni di euro che prevede il restauro e il completo rifacimento delle coperture.

Prima dell’inizio dei lavori, Osanna ha deciso di offrire un’ultima occasione per entrare nella domus: una visita a gruppi di 20 persone nel weekend di San Valentino, un omaggio agli innamorati dall’11 al 14 febbraio. Chi entra a Pompei troverà il cancello aperto su via dell’Abbondanza, salirà le scale metalliche che conducono alle passerelle, e potrà guardare il panificio e le stanze affrescate, così come il giardino porticato, dall’alto.

Un approccio, questo della visita su due livelli, che resterà anche al termine dei restauri. La principale novità riguarda l’eliminazione di tutti i ponteggi e i tubi ora poggiati sui pavimenti antichi o sul terreno non scavato, una foresta di ferro.

“Realizzeremo un’unica campata di copertura” spiega l’architetto Michele

Granatiero dell’Unità Grande progetto e responsabile unico del procedimento. “In ciascuno dei due vicoli che delimitano l’isolato – aggiunge – saranno posizionati, previo saggi archeologici, sei pali per reggere la struttura reticolare con copertura in alluminio, con vetro in corrispondenza delle cinque aree scoperte. Ma prima di smontare i puntelli esistenti, vanno messe in sicurezza le murature e realizzati scavi per completare i percorsi”.

Appuntamento al 2020.

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