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“La festa per la mia Beatrice, prima neonata a battere il Covid. Ora evitiamo la terza ondata”

Feb 14, 2021

FIORANO AL SERIO – “Intorno a noi la gente moriva e Beatrice era in ospedale, da sola, in una culletta termica. Nemmeno il mio latte avevano voluto darle, temevano che fosse contaminato. Soltanto due sacchi dove buttare i suoi vestitini infetti. Ero tornata a casa senza di lei, intorno c’erano dolore e morte, un lutto al giorno in Val Seriana, ad Alzano, a Nembro, il Covid si è portato via anche mio nonno e mio zio. Ecco, lì, da quelle finestre vedevamo passare le ambulanze che correvano verso Bergamo. Quelle sirene erano il sottofondo delle mie notti insonni mentre aspettavo con Marco notizie di Beatrice Aurora”. Marta Zaninoni si commuove, ma è un attimo, perché Beatrice, un anno compiuto tre giorni fa, ride, piange, strilla, si arrampica, ha fame, ha sonno, cerca di entrare e uscire dalla sua Ferrari rosso fuoco, regalo della nonna materna l’11 aprile del 2020 per il suo tampone finalmente negativo. “Era Pasqua – dice Marta – e siamo risorti tutti. Adesso però devono vaccinarci, ci sono stati troppi morti. Sarebbe terribile una la terza ondata”.

Bisogna entrare in questa palazzina di Fiorano al Serio, in Val Seriana, affacciata sulle montagne spruzzate di neve per respirare la speranza, adesso che le mutazioni del virus sussurrano nuove paure. E prendere in braccio Beatrice, la prima neonata in Italia infettata dal Covid, che oggi, perfettamente guarita, butta indietro la testa ridendo alle smorfie di suo fratello Gabriele.

(agf)

Nel grande salotto pieno di giocattoli, insieme a Marta, 40 anni e a suo marito Marco Albergati, 37 anni, ci sono i tre figli del primo matrimonio di Marta, Ilaria, Chiara e Gabriele. E poi Beatrice Aurora, nata l’11 febbraio 2020, “con un parto cesareo d’urgenza” mentre il Covid già seminava il lutto in queste valli, e lunghi cortei di camion dell’esercito portavano le bare dagli obitori degli ospedali ai cimireri. Marta è alta, bionda, forte, lavora nella ditta di famiglia che si occupa di packaging, Beatrice è la sua quarta figlia, mentre Marco gestisce una ditta di pulizie. “Racconto la mia storia per dare speranza, se ce l’ha fatta nostra figlia neonata ce la possono fare tutti i bambini colpiti dal virus”. La lotta, però, è stata dura. Mentre Marco e Gabriele preparano il pranzo per tutti, Marta allatta Bea. “Ancora oggi non sappiamo dove possa essersi infettata. Ho partorito al “Papa Giovanni” di Bergamo, era l’11 febbraio. Il 15 eravamo già a casa, 10 giorni dopo siamo dovute tornare in ospedale per un controllo cardiologico. Beatrice è nata con un soffio al cuore. Allo sportello dell’accettazione, c’era una piccola folla, nessuno di noi aveva la mascherina, ancora non si portavano. Ma forse è lì che c’è stato il contagio”. A casa, Beatrice inizia a tossire, le si gonfiano gli occhi. “Ho avuto quattro figli, non mi sono spaventata”. La febbre però sale e Marta e Marco decidono di portarla in ospedale a Bergamo”.

Marta fa fatica a parlare, si commuove, Marco l’abbraccia. Beatrice gattona ovunque, il caos, allegro, è dappertutto. “Ci hanno subito isolate in una stanzetta. Medici e infermieri erano coperti con visiere, guanti. Esami del sangue e tampone. La sera del 5 marzo, il verdetto: è positiva, la ricoveriamo, ma lei deve andare via subito, è pericoloso. Ero impaurita, arrabbiata. Le tolsero tutti i vestitini dicendomi di buttarli via”.

A marzo 2020 il virus è un mostro poco conosciuto che falcia vite, contagia intere famiglie, fa strage di anziani. Codogno è però già zona rossa, la Lombardia flagellata dalle pandemia. “Beatrice è rimasta in terapia neonatale per 18 giorni. Noi eravamo in lockdown già chiusi in casa, Marco ed io anche con i sintomi del Covid, probabilmente infettati da Beatrice, ma nessuno è mai venuto a farci il tampone. Potevamo soltanto telefonare in reparto. Eravamo disperati, non facevo altro che tirarmi il latte, ma all’ospedale non lo volevano”. Il 23 marzo dal “Papa Giovanni” arriva la telefonata: “Venite a riprendere Beatrice”. “Era sottopeso, bianca come il lenzuolo della carrozzina, aveva gli occhi opachi, sembrava una bambolina rotta”.

E’ ancora positiva, l’intera famiglia deve stare a distanza, nessuno la può avvicinare se non Marta. “Giorni durissimi, anche per i fratelli. Poi il giorno di Pasqua, il regalo, la rinascita, il tampone negativo. Dopo un’ora in paese lo sapevano tutti, l’hanno chiamata la piccola guerriera di Bergamo”. La felicità è qualcosa di concreto, tangibile, è la risata di Beatrice Aurora. “Mi avevano detto che ci sarebbero potuti essere danni neurologici. Quindi di stimolarla. E cosa ci può essere di meglio di tre fratelli che giocano con lei tutto il giorno?”. In Marta resta il dubbio di cosa sia accaduto in ospedale. “Sono mesi che aspettiamo la cartella clinica per capire come è stata curata, ma questa cartella non arriva. Il mio sospetto è che in quei 18 giorni non le abbiano dato nulla, ma l’abbiano tenuta in osservazione. Oggi Beatrice prende soltanto delle vitamine. Se però le interrompiamo, sembra molto più stanca”.

Marco la prende in braccio e balla. Ieri in un trionfo di palloncini Bea ha spento (con l’aiuto dei fratelli) le candeline del primo anno. “Nostra figlia sta bene, in tutti i sensi, così dice la pediatra. Sì, è stata una piccola guerriera portatrice di speranza”.

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