Marco Evangelisti
mercoledì 12 ottobre 2016 12:46
ROMA – C’è sempre qualche indizio. Le pieghe tra naso e guancia di Aldair, il completo chiarissimo di Rui Costa. Si vede quando un giocatore ha smesso. Ronaldinho non ha smesso. Ha le spalle larghe di sempre e i pantaloni da riposo accartocciati su una gamba e stesi sull’altra, come sempre. «Intanto gioco un altro anno, non so ancora dove ma gioco. Poi vediamo».
Al Napoli adesso servirebbe un attaccante
«Temo di essere un po’ troppo vecchio per il campionato italiano. Ma è un onore anche solo che qualcuno pensi a questa eventualità»
Lei ha 36 anni, Totti ne ha 40 e gioca in Serie A
«Totti è uno dei più grandi della storia»
Kevin-Prince Boateng sostiene che il più grande della storia sia lei
«Kevin è un amico. Ci siamo divertiti da matti insieme ed evidentemente ci divertiamo l’uno con l’altro anche a distanza. I più grandi di tutti sono stati Pelè e Maradona. Il mio ruolo è guardarli e ammirarli. Non dico che io non sia piazzato abbastanza bene in quella classifica di sempre, comunque. Di sicuro, abbastanza da essere un uomo felice»
Al di là della modestia: lei gioca, Totti gioca, Del Piero non gioca più ma non ha smesso da tanto. Perché voi sì e tanti altri no?
«Perché i giocatori come noi nascono una volta ogni cinquant’anni. Certo che poi vanno avanti fino a quaranta».
Non per andare in Serie A, magari, però ecco che la rivediamo in Italia
«E sono molto contento di essere qui. Bello tornare all’Olimpico, bello il senso di questa partita. Bello giocare insieme con Maradona, anche se vorrà tirare lui le punizioni. E con Totti, naturalmente. In campo vedrete gente che ha fatto la storia del calcio».
Lei può farla anche come allenatore, in futuro?
«Non credo. Non è nelle mie corde, non mi piacfe neppure stare a vedere novanta minuti di calcio in televisione. Non ce la faccio, preferisco le sintesi dei momenti migliori, i gol. E poi al mondo ci sono già allenatori di grande spessore. Uno dei più bravi, per esempio, è Luis Enrique. Il Barcellona ha un tecnico abilissimo e molti tra i giocatori più forti del mondo. Logico vinca e credo vincerà ancora per parecchio tempo. L’intelaiatura è molto giovane».
Vede che parla da allenatore? Era meglio il tridente con lei, Eto’o e Messi o l’attuale Messi-Suarez-Neymar?
«Difficile scegliere, no? Tanti gol e tanta classe da una parte e dall’altra. E tante vittorie. Adesso hanno Neymar che fatico a definire mio erede. E’ una persona e un atleta che amo, semmai. Il suo prossimo obiettivo dev’essere imporsi come miglior giocatore del pianeta. Il migliore del Brasile lo è già. E credo che la nostra Seleçao possa crescere intorno a lui. Abbiamo diversi giovani di grande qualità».
Sembra però che in questo momento la fabbrica dei campioni stia in Argentina
«Sembra, perché il Brasile per un certo periodo non è riuscito a produrre giovani in grado di emergere nel calcio europeo. Ma adesso vedo crescere crescere una generazione molto promettente. Gabigol per esempio non appena avrà le possibilità di giocare nell’Inter segnerà e diventerò parte della storia del club. Anche Gabriel Jesus, del City, è un ragazzo da seguire, che ha parecchie qualità. Attenzione, il calcio europeo è molto diverso da quello dei campionati brasiliani. Ai giovani serve tempo. Nomino un altro campione potenziale, anzi neppure potenziale: Felipe Anderson della Lazio. Io adoro i giocatori così: tecnica, dribbling, velocità. E forza. Lui è veramente molto bravo».
La Roma ha pagato Gerson quasi 19 milioni
«Lo conosco, ho giocato con lui nel Fluminense. Ha molto talento e pochi anni, mi dicono somigli a Pogba ma per me è diverso. Ha un gran sinistro ed è potente, però non abbastanza potente per inserirsi subito nel campionato italiano. Va aspettato, con pazienza».
Il suo Milan sta diventando di proprietà cinese. La stupisce?
«Poco mi stupisce, oggi. Il calcio è molto cambiato. Mi stupirebbe che davvero Paolo Maldini uscisse dall’orbita del club in cui la sua famiglia ha sempre vissuto. Sarà forse complicato abituarsi a un Milan senza Berlusconi. Ma il mondo va avanti».
Del resto, sembrava strano anche vedere uno come lei passare dal Barcellona al Milan
«Anche quello per me era andare avanti. Kakà, Pirlo, Shevchenko, Ibrahimovic e via contare: tanti fuoriclasse in una sola squadra. Era il momento giusto per scegliere il Milan. Credo che questo risponda anche a chi sostiene che il mio calcio fosse pura allegria, che non avessi voglia di lottare e di vincere».