Esplosioni, miliardi di dollari persi in borsa. E un’immagine tutta da ricostruire specialmente per quella linea, Galaxy Note, che alcuni anni fa ci ha introdotto al concetto di “phablet”, di uno smartphone di grosse dimensioni per lavorare anche in mobilità ma senza un portatile. Samsung sta pagando l’approccio un po’ maldestro dell’intera industria rispetto alle batterie agli ioni di litio; si continuano a spingere i limiti di cosa si può fare mettendo a rischio la salute di tutti i consumatori.
Poteva essere HTC o Sony o Motorola. Poteva essere persino Apple, regina del “famolo sottile”. Ma è capitato a Samsung, che ora deve fare i conti con un lancio che definire disastroso è dir poco.
Cosa sarebbe successo se Galaxy Note 7 avesse usato batterie removibili anziché incollate, come va ormai di moda da anni? Sarebbe semplicemente bastato avvisare gli utenti di togliere dalla scocca la batteria perché difettata: niente allarmismi, niente esplosioni (ok, forse qualcuna) e niente crisi isteriche dei media. La società sudcoreana avrebbe poi, probabilmente, provveduto a sostituire quelle batterie oppure i consumatori, se poco pazienti, avrebbero potuto sistemare tutto con una nuova unità, che può costare al massimo 30 euro.
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Invece no. Samsung, come tantissimi produttori di smartphone, tablet e laptop, ha deciso di incollare la batteria di Galaxy Note (ma anche di Galaxy S7 e S6 e dei suoi tablet) al resto dei componenti. Il risultato è stato uno soltanto: saltata la batteria, saltato l’intero dispositivo. Non si poteva fare altro che guardare il proprio telefono, pagato 700 euro o anche più, prendere fuoco: lo schermo irriconoscibile e, purtroppo, qualche scottatura alla mano (nei casi in cui non si stava parlando al telefono).
Galaxy Note 7 è resistente all’acqua. Ma non al riscaldamento eccessivo delle batterie che, difettate, potevano causare una piccola esplosione REUTERS/Kim Hong-Ji
PERCHÉ LE BATTERIE ESPLODONO?
Veniamo al nocciolo della questione: perché una batteria può esplodere? L’esplosione è conseguente all’eccessivo surriscaldamento dell’unità. Il calore viene generato quando i due opposti, uno positivo e l’altro negativo, entrano in contatto. Per ovviare a ciò, quindi, i produttori integrano un separatore per far sì che non si tocchino e scongiurare il surriscaldamento.
Nel caso del Galaxy Note 7, secondo quanto riportato da Bloomberg un errore di produzione ha prodotto batterie con una forte pressione sulle piastre presenti all’interno delle celle. Tale situazione ha reso più facile il contatto tra polo positivo e polo negativo causando così, in numerosi casi, un’esplosione.
Kyle Wiens lo sa bene. È l’amministratore delegato di iFixit, società che negli ultimi anni ha raggiunto la popolarità poiché smonta e rimonta smartphone e tablet, mostrando al mondo tutti i segreti degli iPhone e dei Samsung (ma non solo) di turno. Le sue parole, pubblicate in un articolo su Wired, sono chiare: “L’ossessione dell’industria per prodotti sempre più piccoli richiede batterie sempre più piccole. Quindi ci si sta spostando verso batterie a polimeri di litio. Queste batterie sono incredibilmente delicate e sono incastrate in una scocca flessibile come un foglio. Ciò riduce le dimensioni, rendendo le batterie più facili da integrare. Ma significa essenzialmente includere un dispositivo a rischio incendio nella carta stagnola”.
Quel che rimane del dispositivo se la batteria esplode REUTERS
Un’industria per certi versi malata: meglio uno smartphone bello che funzionale o sicuro. Si cerca sempre quel millimetro di meno, quei dieci grammi in meno rispetto alla generazione precedente per poi poter gridare ai media che è “il più leggero di sempre”. È toccato a Samsung, ma poteva capitare a un’altra azienda.
Il fatto che sia capitato a una delle “big” del settore, il più grande produttore al mondo per quantità di smartphone spediti, fa sì che questa notizia abbia avuto un eco mediatico di assoluto rilievo. Male per l’azienda, forse eccessivamente attaccata specialmente dai media statunitensi, ma un po’ se l’è cercata.
INSEGUENDO APPLE
Da un paio di anni, Samsung ha deciso di proporre il suo Galaxy Note di turno in anticipo. Le prime generazioni venivano lanciate sul mercato attorno a settembre; la presentazione aveva luogo all’IFA di Berlino, che si tiene tradizionalmente all’inizio del mese. Dal 2015, invece, la dirigenza ha voluto anticipare Apple su tutti; ha voluto che i consumatori conoscessero prima la bontà dei suoi dispositivi per poter dire con sicurezza “no” ai nuovi “melafonini”. Il risultato è stato dover correre. Correre dopo che, solo pochi mesi prima attorno ad aprile, ha lanciato sul mercato Galaxy S6 e S6 edge (nel 2015) o Galaxy S7 e S7 edge (quest’anno). E correre quando si sta producendo un dispositivo mobile, la cui batteria è un affare tanto delicato, può significare incappare in un errore di produzione di cui non si possono anticipare le proporzioni.
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Prima o poi doveva capitare. Bisogna scottarsi, letteralmente questa volta, per capire l’entità di un problema. Il capro espiatorio, quella che si prende tutta l’attenzione e tutta la colpa, questa volta è Samsung. Che il suo caso possa servire da lezione per quei produttori che puntano tutto sulle batterie incollate alla scocca (per fortuna ancora molti, come LG, fanno affidamento su batterie removibili). Nel frattempo, l’azienda ha annunciato di aver fermato la produzione di Galaxy Note 7. Per gli utenti italiani è previsto un rimborso totale (e ci mancherebbe).
Se non per l’immagine, se non per la sicurezza dei consumatori, i miliardi di dollari persi in questi mesi faranno sicuramente riflettere la dirigenza sudcoreana.