• 19 Maggio 2024 0:50

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Giganti digitali e clima: i primi due test su Biden

Gen 16, 2021

Tutti pensano ancora a Trump, ma la prossima è la settimana in cui alla Casa Bianca entra Joe Biden. Per l’Europa finisce la lunga traversata nel deserto del populismo protezionista trumpiano, ma il punto di arrivo non coincide con quello di partenza, ovvero il clima di collaborazione dei tempi di Obama. Anzi, la nuova Casa Bianca non si è (ancora) premurata di far sapere che la prossima settimana finirà almeno la guerra delle tariffe, come i dazi punitivi di Trump sull’import di acciaio ed alluminio dall’Europa.

Storicamente, i democratici sono, del resto, più protezionisti dei repubblicani e, anche se il clima sarà certamente più disteso, Biden ci penserà due volte prima di dispiacere agli operai del Michigan o agli agricoltori dell’Iowa. Tuttavia, Trump era rimasto solo a pensare che i rapporti economici fra gli Stati fossero determinati dai rispettivi scambi di merci. I veri nodi economici fra le due sponde dell’Atlantico sono altrove e le verifiche delle reciproca disponibilità al dialogo arriveranno presto. La novità della nuova era è che non mancano gli ottimisti.

Il primo test del dopo-Trump saranno, infatti, le tasse sui giganti digitali, da Amazon a Apple. Nei giorni scorsi, i superstiti dell’amministrazione Trump hanno evitato di far scattare i dazi di ritorsione (25 per cento contro formaggi e alta moda) già preparati contro la Francia, colpevole di esigere imposte da aziende americane. Ma il grilletto resta puntato contro Parigi e le altre capitali – come Roma – che hanno deciso di tassare i profitti realizzati da Big Tech nei loro paesi.

Come andrà a finire? Il problema di superare le vistose contraddizioni fra la nuova realtà dei servizi apolidi e immateriali e principi fiscali stabiliti all’epoca in cui i fatturati li facevano merci che fisicamente attraversavano le frontiere non appare facilmente aggirabile, neanche da una Casa Bianca attenta agli interessi americani. Per capire gli orientamenti e la filosofia internazionale di Biden, sarà decisivo capire se il terreno di confronto scelto sarà quello multilaterale e globale dell’Ocse (l’organizzazione che raccoglie i paesi industrializzati e che ha già preparato alcune linee guida di intervento), quello bilaterale di un dialogo Usa-Europa, da imporre agli altri paesi, o quello istituzionale del Wto, l’organizzazione mondiale del commercio sabotata a più riprese da Trump.

L’altro nodo è un passaggio cruciale per la difesa del clima, come il tentativo di imporre ai paesi che esportano in Europa le regole sui diritti ad emettere anidride carbonica, cui già si sottopongono le imprese europee. A Bruxelles vorrebbero istituire già nel giro di un paio d’anni una “carbon adjustment border tax”, ovvero un dazio sulla quantità di CO2 contenuta sulle importazioni della Ue. La reclamano con forza le imprese europee, costretta a confrontarsi sul mercato con i prezzi di concorrenti che non devono pagare, nei loro paesi, il diritto ad emettere anidride carbonica. Il caso più vistoso è quello della siderurgia, dove agli indiani di Arcelor Mittal converrebbe, ad esempio, importare acciaio dall’India, piuttosto che produrlo all’Ilva di Taranto.

Tecnicamente, tuttavia, la border tax è complicata da mettere in piedi, tanto più se Bruxelles, contemporaneamente, riuscisse nell’altro suo obiettivo: allargare il mercato delle emissioni dai settori attuali (acciaio, cemento, carta, vetro, energia) ad altri comparti come i trasporti. Difficile capire, da un prodotto che arriva da una lunga serie di forniture internazionali, come un’automobile, il contenuto in CO2 che gli ha lasciato la legislazione in materia di emissioni del paese dove è avvenuta la fase finale di produzione. Se border tax ci sarà, riguarderà dunque innanzitutto settori come cemento e acciaio, quelli toccati già oggi dalla legislazione europea e sarà quindi limitata nelle ambizioni, ai limiti del simbolico.

I simboli, tuttavia, contano e, in questo caso, sono anche un’esca. Perché tutto cambierebbe se anche gli Usa di Biden istituissero un controllo della CO2, attraverso un mercato dei diritti alle emissioni, parallelo a quello europeo. La massa economica di questo blocco, difeso da analoghe border tax, sarebbe sufficiente a costringere gli altri concorrenti mondiali ad adeguarsi.

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