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Fino a 835 milioni all’anno: la certezza matematica di un conto salato per lo Stato

Nov 9, 2019

Naturalmente, in un tale scenario, appare politicamente scontato che abbiano lo stesso trattamento anche gli oltre 6mila addetti dell’indotto italiano. E, a questo punto, il conto lievita a poco meno di 485 milioni di euro all’anno. Poi, ci sarà il problema di che cosa far fare loro, perché provino a tornare ad una nuova vita professionale. Prendiamo come standard la riqualificazione degli addetti oggi in amministrazione straordinaria finanziata con 10 milioni di euro dalla Regione Puglia.

Estendiamola a tutti quanti, indotto incluso: fanno poco meno di altri 100 milioni di soldi pubblici, al di là della loro provenienza diretta o indiretta. Alla fine, il costo della trasformazione in un osso morto della fabbrica è di 585 milioni di euro all’anno. Tutti da mettere sul tavolo. Senza, peraltro, tenere in alcun modo in considerazione i costi della bonifica dell’ambiente e della fabbrica.

Andiamo alla seconda ipotesi: il commissariamento prende in gestione una parte della fabbrica, cercando il punto dimensionale e la specializzazione produttiva giuste per mantenerla accettabilmente sul mercato, senza perdere a bocca di barile come ha fatto ArcerlorMittal. Una scommessa ambiziosa, con l’attuale mercato europeo e con gli effetti destabilizzanti della guerra dei dazi fra Stati Uniti e Cina. Ma, anche, una scommessa dal rilevante significato politico e simbolico.

È presumibile, operando con un criterio di razionalità economica, che siano sufficienti – e finanziariamente ragionevoli – poco meno di 6mila addetti. Questa società ha oggi un fabbisogno circolante di 350 milioni di euro all’anno. Per ricostituire il magazzino ed effettuare gli interventi di manutenzione e i lavori all’altoforno 2 (in una logica “amichevole” con la magistratura di Taranto) servono altri 150 milioni di euro. Fanno 500 milioni di euro di soldi pubblici: al netto del fatto che lo Stato italiano riesca a negoziare con Bruxelles, vista la gravità della situazione, la possibilità di metterli direttamente.

Poi, ci sono gli altri 5mila addetti della fabbrica in cassintegrazione (130 milioni di euro di costo per le casse dello Stato) e i 6mila occupati dell’indotto, che comunque sbanderebbe violentemente anche in caso di una ripresa ridotta dell’Ilva (altri 155 milioni di euro). Più la formazione con cui riqualificare questi 11mila cassintegrati: poco più di una cinquantina di milioni di euro. Alla fine, in questo caso, fanno 835 milioni di euro. Le parole sono pietre. I numeri sono macigni. Ogni anno i conti da pagare, per lo Stato italiano, saranno questi.

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