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Fase 2, la tenaglia di fisco e burocrazia sulla sicurezza dei lavoratori

Apr 29, 2020

paradossi alla ripartenza

I container installati sul suolo pubblico per i controlli dei lavoratori non vengono risparmiati da Tosap e Cosap

di Marco Mobili

29 aprile 2020


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(MarcoBagnoli Elflaco – stock.adobe.com)

3′ di lettura

Un tunnel per l’ingresso in azienda, realizzato con l’utilizzo di appositi container, così da garantire la ripresa dell’attività dei lavoratori in piena sicurezza. Una sorta di pre-triage, come quelli che si sono visti fuori dagli ospedali in questi mesi di emergenza sanitaria, per evitare che persone potenzialmente infette avessero contatti con persone non infette, azzerando il rischio di diffusione del virus. È la soluzione che moltissime imprese, grandi e meno gradi, stanno adottando per rispettare il protocollo siglato tra datori di lavoro e sindacati sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Dove origina il caso

Tutto bene, se non fosse che – purtroppo – neppure il coronavirus sembra in grado di frenare gli eccessi di burocrazia, di cui il nostro Paese soffre da troppo tempo. E figuriamoci, poi, se all’infinita lista di domande, istanze, codici, cavilli, carte bollate e chi più ne ha più ne metta, si aggiungono le pretese di tasse e balzelli locali. Ne sa qualcosa una grande impresa italiana, che preferisce mantenere l’anonimato, che ha sede (anche) in un grande capoluogo di Regione del Sud (ma poco importa, perché la burocrazia non conosce distinzioni territoriali).

Il meccanismo di protezione

Per riaccendere i motori e ripartire dopo il lockdown, ha deciso di creare un tunnel per l’accesso alla struttura produttiva vera e propria, uffici e capannoni. Si tratta di diversi container, collocati sul suolo pubblico, attraverso i quali devono obbligatoriamente transitare gli operai e il personale amministrativo. Alcuni sono utilizzati per l’ingresso e altri per l’uscita, in modo da evitare il più possibile i contatti nelle zone comuni all’interno dell’azienda. Attraverso i container, attrezzati con adeguati presidi di protezione quali detergenti e mascherine, ai lavoratori viene rilevata la temperatura, negando l’accesso a chi registra oltre 37,5 gradi. E rispettando tutte le altre prescrizioni previste dal protocollo su salute e sicurezza voluto dal governo e siglato da datori di lavoro e sindacati.

Disco verde dall’ente locale

Per collocare i container sul suolo pubblico – ovvero l’ampio marciapiede antistante l’ingresso dell’unità produttiva – la nostra grande impresa presenta l’apposita richiesta, con apposita domanda, all’apposito ufficio comunale che però, per il rispetto delle regole dettate dalla gestione dell’emergenza, aveva ridotto la sua operatività, con gran parte del personale presente con la modalità del lavoro agile (ovvero, assente dagli uffici). Non con altrettanta agilità, questi ostacoli vengono poi superati. E la domanda di occupazione di suolo pubblico per 90 giorni, inviata al Comune, trova esito positivo. Con il via libera alla possibilità di installare i container di ingresso e uscita dall’azienda.

In agguato Tosap o Cosap

Con un dettaglio non da poco: il Comune, insieme all’ok al progetto, chiede anche il pagamento di ben 40mila euro per l’occupazione del suolo pubblico. Tecnicamente, si tratta di Tosap o Cosap – troppo complicato spiegare qui la differenza tra la prima (tassa) applicata in alcuni casi e il secondo (canone) applicato in altri. Limitiamoci a dire che entrambi comportano il pagamento di un “tributo” per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, come nel caso in cui su strade pubbliche, sulle quali sussistono accessi alle proprietà private, vengono effettuate occupazioni con opere a servizio di privati. Sono due balzelli locali in grado di garantire agli oltre 8.000 comuni italiani entrate fiscali per quasi 900 milioni di euro ogni anno, almeno nell’era AC, ovvero Ante Covid-19.

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