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Ex Ilva, vertice a Palazzo Chigi. ArcelorMittal: “Scudo penale essenziale”

Nov 6, 2019

MILANO – Primo vertice, forse già decisivo, per capire quale sarà il futuro della ex Ilva di Taranto e di tutto il gruppo dell’acciaio che in Italia, tra dipendenti diretti e indotto, occupa quasi 15 mila famiglie. L’incontro si tiene a metà mattina a Palazzo Chigi, dove il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha convocato i massimi livelli dell’acquirente ArcelorMittal. Nella città pugliese, intanto, i lavoratori si riuniscono in un presidio di protesta mentre il presidente della Regione, Michele Emiliano, dice amaro che “bisogna prepararsi all’eventualità di un’altra cordata”.

A un anno dalla firma del contratto che ha previsto l’affitto del gigante siderurgico ad ArcelorMittal, in quello che nel giro pochi mesi dovrebbe diventare un acquisto definitivo, tutto sembra di nuovo in discussione. ArcelorMittal ha chiesto al tribunale di Milano di verificare la possibilità di recedere dal contratto, perché i cambiamenti normativi (il venir meno delle tutele legali per la realizzazione del piano ambientale) e le decisioni dei giudici di Taranto impedirebbero il rispetto dell’intesa siglata col governo.

L’ad Lucia Morselli, riconosciuta dal settore come manager di ferro, ha confermato ieri sera ai segretari territoriali di Fim, Fiom, Uilm e Usb, in un incontro che si è svolto nello stabilimento tarantino, che l’azienda vuole recedere dal contratto.

Dopo le prime reazioni scomposte, il fronte politico di maggioranza si è ricompattato in vista del vertice al quale sono attesi Lakshami Mittal, numero uno della famiglia imprenditoriale, e il figlio Aditya che segue gli affari nel Vecchio continente, oltre ovviamente a Morselli. Al fianco di Conte è previsto il battagliero titolare del Mise, Stefano Patuanelli.

Ieri un po’ tutti gli schieramenti a sostegno del Conte bis – e anche i sindacati – si sono ricompattati. Un primo punto fermo di Conte è che non si può parlare di 5 mila esuberi, come ventilato. Tutti hanno poi finito per riconoscere che non è una scelta saggia dare ad ArcelorMittal “l’alibi” del venir meno dello scudo legale (saltato definitivamente con l’ultimo decreto Imprese) per fare armi e bagagli e lasciare l’Italia.

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Lo stesso Patuanelli ha indicato come la corposa documentazione presentata a supporto della richiesta di disdettare il contratto, sveli una strategia covata da tempo – probabilmente per i risultati industriali ben inferiori alle attese (l’acciaieria perde 2 milioni al giorno) – e che aspettava solo il momento propizio per dispiegarsi in una clamorosa ritirata. Una sintesi tra le parti potrebbe trovarsi con l’impostazione suggerita dal Pd di Zingaretti, ovvero chiarire con una norma generale che adempiere al dovere imposto da una norma (il piano ambientale in questo caso, normato da un Dpcm) non può esporre alla punibilità penale: non un provvedimento ad hoc, dunque, ma una chiarificazione che metterebbe al riparo la multinazionale.

ArcelorMittal sembra già essersi cauelata anche su questo aspetto. L’acciaieria, nella citazione depositata al tribunale di Milano per veder riconosciute le proprie ragioni, sostiene che anche se “la protezione legale fosse ripristinata, non sarebbe possibile eseguire il contratto” in quanto c’è la possibilità che, per un provvedimento dell’autorità giudiziaria di Taranto, venga di nuovo spento l’altoforno 2 e “in tal caso dovrebbero essere spenti anche gli altiforni 1 e 4 in quanto, per motivi precauzionali, sarebbero loro egualmente applicabili le prescrizioni” del tribunale sull’automazione degli altiforni. Il contratto sull’Ilva di ArcelorMittal andrebbe considerato “risolto”.

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Insomma, il gruppo anglo-indiano sembra aver affilato al meglio le armi legali per presentarsi al tavolo del presidente del Consiglio pronto a ribattere colpo su colpo alla fermezza annunciata e alla richiesta di “rispetto” preannunciate dal governo.

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