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Come cambiano gli uffici in Spagna e Stati Uniti dopo gli anni del Covid

Ago 3, 2022

AGI – Il Covid e il post-Covid hanno rivoluzionato il mondo del lavoro. Per lunghi mesi si è imposto lo smart working, vaticinato e atteso fin dagli anni ’50-’60 come il telelavoro, quello del futuro che avrebbe reso tutti più liberi, più felici e soddisfatti, con meno vincoli. Poi d’improvviso è arrivata la rivoluzione digitale, ma al telelavoro non c’ha pensato più nessuno fino all’impatto improvviso con la pandemia da Covid-19, che ha costtetto a ripensare tutto.

L’esperienza è stata positiva, ma la fine (o quasi) dei contagi ha lasciato i suoi strascichi e un intenso dibattito. Su come utilizzare i grandi spazi degli uffici per gran parte rimasti vuoti a causa dello smart working che ha stravolto gli uffici. Perché, come annota “El Pais” in un servizio, “le organizzazioni si sono rese conto che file di singole postazioni di lavoro non sono più necessarie” mentre nrecessitano “spazi ad uso collaborativo, in cui tenere riunioni, innovare, connettere o respirare la cultura aziendale, tanto toccata dopo la pandemia”.

Come dire? La sedia è mobile e la scrivania non più necessaria. Urgono, semmai, punti d’appoggio volanti. Non stabili. Ricambiabili. Ai quali ci si può alternare in più persone. Perché serve socializzazione, circolarità, in modo da “rendere gli uffici il più simili possibile al quartiere e alle loro case per attirare il personale”.

“Il modello è radicalmente cambiato, dall’erede della rivoluzione industriale siamo passati all’era digitale e questo richiede una revisione degli spazi per migliorare le condizioni delle persone”, dichiara a El Pais Covadonga González Quintana, fondatrice dello studio di architettura Plug&Go.

Sgonfiare gli spazi

La parola d’ordine è “sgonfiare gli spazi”. E le tendenze sono chiave sono essenzialmente quattro, secondo il quotidiano spagnolo: “Non territorializzazione in modo che l’ufficio e i dipendenti da remoto coesistano; l’assoluto protagonismo delle aree collaborative e sociali, con diverse tipologie di spazi; la flessibilità e versatilità degli spazi e delle loro attrezzature, e l’umanizzazione degli ambienti di lavoro” in modo da per causare uno spostamento tra i dipendenti verso un ambiente più collaborativo, flessibile e agile.

I casi sono molteplici: ci sono anche aziende che riducono le loro sedi a causa del telelavoro e dei risparmi che fornisce, ma non sono la maggioranza, e ci sono società che si sono trasferite da un vecchio edificio del centro di Madrid in periferia, eliminando i posti permanenti dei lavoratori e implementando zone di concentrazione, luoghi di ritrovo informali come la terrazza, il giardino o la caffetteria per diventare un punto di incontro per dipendenti e clienti e abbattere i silos che finora hanno regnato nell’azienda di mobilità.

Il caso della spagnola Endesa

Endesa, per esempio, la più grande società di energia elettrica della Spagna ha avviato un progetto di ristrutturazione dei propri spazi che è costato 10 milioni di euro per la ristrutturazione del 75% della sede centrale di Madrid “adattarla a nuove forme di lavoro flessibile”.

Da un mese, racconta Pablo Azcoitia, direttore dei media della compagnia energetica, i 2.200 dipendenti che sono concentrati “in questi uffici di 33.000 metri quadrati, lavorano due giorni nell’edificio senza una postazione fissa e tre giorni da casa”. 

Rimane il 25% dello spazio, che non è stato ancora riformato. Però la compagnia elettrica sta valutando la possibilità di affittarlo o di allestire uno spazio di coworking per terzi. Nel frattempo, utilizza la superficie per verificare, ad esempio, se le zone di lavoro silenziose funzionano. Insomma, i Ceo delle aziende avrebbero capito che “lo spazio è uno strumento strategico”, spiega Alejandro Pociña, presidente di Steelcase Iberia, e se prima davano priorità all’efficienza, oggi cercano di ottimizzare l’esperienza dei dipendenti, tant’ che se “nel periodo pre-pandemia il 60% della superficie era destinata a platea individuale e il 40% ad aree comuni, mentre ora è proprio il contrario”, annota “El Pais”.

Così le ex sale riunioni aperte sono state chiuse e isolate acusticamente per consentire riunioni ibride con personale in loco e remoto, che saranno il 56% del totale e le mense sono diventate caffetterie o uffici di design chill-out in cui le persone possono socializzare comodamente e sempre con la tecnologia integrata.

Cosa sta succedendo negli Stati Uniti

Anche negli States si discute molto sugli spazi in ufficio. Ma la situazione appare un po’ diversa da quella europea: i “cubicoli”, gli spazi di lavoro negli uffici, sono in gran parte vuoti nel centro di San Francisco e nel centro di Manhattan, ma i lavoratori delle medie e piccole città americane sono tornati ai loro spostamenti.

Annota sul “New York Times” Emma Goldberg che “dopo più di due anni dall’inizio della pandemia, i luoghi di lavoro delle aziende americane si sono frantumati. Alcuni sono quasi pieni come prima del Covid-19, altri sono abbandonati, stampanti spente e tazze che prendono polvere. I lavoratori delle medie e piccole città americane sono tornati in ufficio in numero molto maggiore rispetto a quelli delle più grandi città americane”.

Tant’è che “nelle piccole città, quelle con una popolazione inferiore a 300.000 abitanti, la quota di giornate lavorate da casa retribuite è scesa al 27% (in primavera e dall’ottobre 2020 era al 42% circa). Nelle 10 maggiori città degli Stati Uniti, le giornate lavorate da casa sono oggi passate a circa il 38%, dal 50% che erano nello stesso periodo dell’anno prima, secondo un gruppo di ricercatori di Stanford.

New York, SAn Francisco e periferie: come cambia lo smart working

Secondo un altro team di ricercatori della Harvard Business School “il divario regionale nei modelli di ritorno in ufficio è distinguibile nella quota di annunci di lavoro online che consentono il lavoro a distanza. A San Francisco, il 26% degli annunci di lavoro ora consente il lavoro a distanza e, a New York, il 19% lo fa. A Columbus, solo il 13% degli annunci di lavoro consente il lavoro a distanza; a Houston, il numero è del 12,6 per cento, e a Birmingham, in Alabama, è solo del 10,4 per cento”.

Il punto è che “gli americani hanno sempre vissuto il posto di lavoro in modi completamente diversi: i medici trascorrono lunghi turni in piedi, i camionisti per strada e i lavoratori della conoscenza piegati sui computer. Ma ora, anche le persone all’interno della stessa professione possono avere disposizioni di lavoro molto diverse a seconda di dove si trovano le loro scrivanie”.

Quanto invece agli spazi, il servizio del “New York Times” rileva che “l’occupazione degli uffici di San Francisco è al 39% del suo livello prepandemico e quella di New York al 41%, secondo i dati della società di sicurezza degli edifici Kastle” mentre “Austin, in Texas, nel frattempo, è a quasi il 60%”.

Poi però c’è l’Huntington Center, una torre di uffici di 37 piani nel centro di Columbus, “che ora ha circa l’85% dei suoi occupanti prepandemici in loco ad un certo punto durante la settimana”, secondo la società che gestisce l’edificio. In sostanza, “metà del Paese ha un’esperienza diversa dall’altra”, come sottolinea il professor Bloom, docente a Stanford.

 

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