UN dirigente distratto, che si dimentica di inviare in tempo l’elenco dei (pochi) che hanno deciso di mettere in sicurezza la casa. Una legge sbagliata che esclude dai finanziamenti le seconde abitazioni, e quindi il 70 per cento di Amatrice. Gli edifici pubblici che si sbriciolano: la scuola elementare Capranica, il Municipio, un intero ospedale chiuso nel momento in cui più servirebbe, il ponte di Retrosi che si lesiona. Potevano piovere un paio di milioni di euro per consolidare le case fragili, in questa terra. Invece negli ultimi sette anni sono arrivati gli spiccioli. Poco più di 200 mila euro.
Quando sarà terminata la conta e l’identificazione dei morti, l’inchiesta per disastro colposo aperta dal procuratore capo di Rieti Giuseppe Saieva, dovrà accertare le responsabilità. Un responsabile, però, già si intravede. La burocrazia. La solita vischiosa burocrazia che in Italia impedisce di usufruire a pieno, e rapidamente, dei contributi che lo Stato eroga dopo ogni calamità. E così, a catastrofe segue catastrofe. In una prassi che non impara mai da sé stessa.
Subito dopo il terremoto dell’Aquila, i comuni di Amatrice e Accumoli furono classificati “categoria 1”, cioè massimo rischio sismico. L’allora governo Berlusconi stanziò quasi un miliardo da utilizzare entro il 2016 per le zone rosse: i soldi sono gestiti dalla Protezione civile, l’assegnazione ai comuni passa attraverso una graduatoria regionale. A cosa dovevano servire? Ad esempio a dare contributi ai privati cittadini per sistemare le loro case e renderle più sicure. Lo Stato garantisce da 100 a 200 euro al metro quadrato, per piccoli interventi di consolidamento. Non sono la soluzione finale, ma sicuramente possono limitare i danni durante le scosse più forti e salvare vite.
Ora, Amatrice ha un centro storico con edifici e appartamenti che risalgono al Settecento. E se in estate la sua popolazione supera le 15mila persone, per l’ufficio anagrafe i residenti effettivi non sono più di 2.750. Quasi tutte le abitazioni private sono seconde case, dunque. Si riempiono d’agosto, restano vuote il resto dell’anno. A rigor di logica, Amatrice avrebbe dovuto beneficiare di una buona fetta dei 10 milioni destinati al Lazio per i suoi 61 comuni dell’Appennino a rischio sismico. Invece, nei primi due-tre anni, da queste parti non si è visto un euro. Anzi, i bandi non furono nemmeno resi pubblici.
L’ex capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, fece un tour nel reatino proprio per promuovere la misura, perché nessuno pareva sensibilizzare i cittadini su questa opportunità. In seguito ad Amatrice è accaduto anche che un dirigente poco solerte abbia spedito a Roma le richieste dei suoi cittadini quando ormai erano scaduti i tempi di consegna, facendo perdere così ogni diritto ai finanziamenti a chi (meno di dieci persone) che aveva fatto domanda. Un caso emblematico di come fosse stata presa seriamente l’opportunità del consolidamento antisismico.
Ma c’è un altro motivo per cui fino ad oggi dei 10 milioni assegnati al Lazio ne sono stati spesi appena tre. E ancora una volta, torna la manina della burocrazia più cieca. La Regione Lazio, infatti, ha inserito tra i requisiti per accedere ai fondi, la “residenza”, e non la semplice proprietà della casa come invece prevede l’ordinanza della Protezione civile. Risultato: su 1342 domande presentate per il 2013-2014 alla regione, ne sono state accolte soltanto 191. Undici ad Amatrice per un totale di 124.700 euro, e sette appena ad Accumoli per 86.400. Diciotto piccoli interventi sull’ordine dei 10-15 mila euro per diciotto case. Pochissimo. Non solo: da un primo accertamento sembrerebbe che parte di questi soldi non siano stati ancora liquidati, a causa problemi della Regione con la legge di stabilità. E siccome gli intoppi non finiscono mai, negli ultimi due anni l’erogazione si è bloccata del tutto. Anci e Protezione civile nei mesi scorsi hanno per questo convocato un tavolo (che già si è riunito tre volte) per commissariare in qualche maniera le regioni e cercare di velocizzare le faticosissime procedure. Ma il miliardo di euro del post sisma dell’Aquila era destinato anche ad opere strategiche (ponti, scuole, ospedali) dei comuni in zona rossa. Al primo bando in tal senso aveva risposto il comune di Accumoli. Un piano è stato anche realizzato ma, evidentemente, non è stato poi così efficace. Il Lazio è riuscito a finanziare cinque ponti per adeguarli al rischio sismico. Uno si trova proprio in una frazione di Amatrice (gli altri sono a Cantalice, Castelnuovo di Farfa, Contigliano e Rieti). Al “ponte Rosa”, località Retrosi, vanno ad aprile del 2014 170mila euro. Teoricamente è viabilità di competenza della provincia, ma non si ricordano di interventi di consolidamento effettivamente fatti. Il ponte, che si trova su un arteria di alto passaggio, ha tremato come il resto del paese martedì notte, e si è lesionato in alcune parti. Dove sono finiti quei soldi?