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Certificato di Proprietà digitale, la “guerra” continua

Set 12, 2016

Ennesima puntata della telenovela sul Certificato di Proprietà digitale. Dal 5 ottobre 2015, il CdP (il documento che attesta lo stato giuridico attuale del veicolo) viene rilasciato dal Pubblico registro automobilistico (gestito dall’ACI) esclusivamente in modalità digitale, sostituendo progressivamente, per le formalità richieste da quella data in poi, il documento cartaceo. Secondo l’Automobile Club d’Italia, il Cdp digitale comporta una serie di vantaggi per il cittadino: non può più essere smarrito o sottratto e, quindi, non dovrà più essere richiesto al PRA il duplicato con evidente risparmio di tempo e denaro. Inoltre, vengono garantiti maggiori livelli di sicurezza del documento che non potrà più essere contraffatto. Ma sin da subito, l’Unasca (Unione nazionale autoscuole) ha iniziato una “guerra” contro l’ACI: “L’Automobile Club ha annunciato l’introduzione del CdP digitale dichiarando che questo porterà il risparmio, oltre che di tonnellate di inchiostro, di circa 30 milioni di fogli, specificando anche il peso della carta in 115 gr/mq. Tuttavia, la realtà è che fare un passaggio di proprietà è diventato molto più complesso di prima”.

In Tribunale

La seconda puntata della telenovela del Cdp digitale s’è svolta al TAR. Nel maggio 2016, il Tribunale Amministrativo del Lazio ha accolto il ricorso dell’Unasca per l’annullamento della Circolare numero 005/0007641/15 del 28 settembre 2015, con la quale l’ACI dettava istruzioni di servizio per l’introduzione del CdP digitale, nell’ambito del progetto Semplific@uto. Per l’Unasca, l’ACI, nel dettare istruzioni a seguito della introduzione del Certificato di Proprietà digitale, tentava “in realtà modificare la disciplina sostanziale e la consegna cartacea del certificato, invocando impropriamente l’applicazione del Codice dell’Amministrazione digitale”. Il TAR ha accolto il ricorso Unasca, condannato l’ACI al pagamento di 8.000 euro per le spese di giudizio e gli onorari, annullato la Circolare ACI nelle parti in cui la sostituiva il rilascio del Certificato di Proprietà (cartaceo) del veicolo con la mera attestazione di avvenuta formalità, senza possibilità di ottenere il certificato in formato cartaceo neppure su richiesta della parte.

Terza puntata

Ed eccoci a oggi. L’ACI annuncia che il Consiglio di Stato ha sospeso gli effetti della sentenza del TAR Lazio, “che in parte aveva accolto alcune richieste delle associazioni di autoscuole e studi di consulenza automobilistica (Unasca) e delle agenzie di pratiche auto (Sermetra), riguardo alle modalità con le quali, lo scorso ottobre, l’Automobile Club d’Italia ha introdotto il Certificato di Proprietà digitale”. Come si legge nell’ordinanza, c’è “l’opportunità di mantenere la regolamentazione assunta dall’ACI fino alla decisione sul merito della causa”. E ora, come andrà a finire? La pronuncia di merito è attesa per il 9 febbraio 2017. Poi, la stilettata ACI: “Il provvedimento del Consiglio di Stato segue di poche settimane la sentenza con la quale la Corte di Appello di Roma ha rigettato il ricorso promosso dall’Unasca in materia di pagamento RID, sancendo, così, la legittimità come la correttezza dell’operato dell’ACI”. Infine, la chiosa dell’ACI: “Le due decisioni riconoscono sia la legittimazione dell’ente a migliorare, nell’interesse dei cittadini, la qualità dei servizi offerti, sia la piena operatività del CdP digitale e delle regole emanate, le quali risultano, evidentemente, in totale armonia con l’attuale contesto normativo”. Di certo, la telenovela proseguirà: si attende la risposta dell’Unasca.

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