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Call of Duty World War 2: Un punto di svolta per la serie Activision? – Everyeye.it

Apr 24, 2017

Activision è stata, se non altro, un po’ sfortunata sul fronte delle tempistiche. L’annuncio che il prossimo episodio di Call of Duty sarà ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, del resto, ha fatto nascere qualche critica, legata soprattutto all’originalità della scelta. Il confronto con il diretto concorrente, anche lui tornato al passato dopo troppi anni di guerre moderne, sembra però un po’ ingiusto, per diversi ordini di motivi.

Anzitutto c’è da ricordare che lo sviluppo di questo episodio, affidato alle sapienti mani del team Sledgehammer, è iniziato dopo l’uscita di Advanced Warfare, nel 2014, e le fasi di pre-produzione sono probabilmente precedenti. Pensando a World War II, in buona sostanza, Activision ha semplicemente interpretato (e forse anticipato) un’esigenza tangibile del mercato: ovvero la voglia di riscoprire il fascino di un’ambientazione storica, di tornare a raccontare la guerra com’era prima delle conquiste tecnologiche e delle tattiche contemporanee. Una guerra più intima, più umana, con una sua dimensione eroica e tragica. Una guerra non spettacolarizzata, sporca e spietata.

Oltre ad essere coraggiosa, per un franchise che dal 2008 si è sempre dedicato a scenari contemporanei o futuristici, l’idea è potenzialmente vincente, e non c’è nulla di male se World War II arriverà a un solo anno di distanza da Battlefield 1. Anzi, questa vicinanza potrebbe essere persino interessante per i giocatori, che si troveranno a “vivere” due conflitti dalle caratteristiche molto diverse. A DICE va sicuramente dato il merito di aver scelto un contesto poco esplorato in ambito videoludico, ma bisogna ammettere che per assemblare la sua campagna il team di sviluppo è andato a recuperare situazioni non sempre interessanti sotto il profilo storiografico, e che gli sceneggiatori della War Stories si sono concessi diverse libertà dal punto di vista narrativo e creativo. L’approccio di Sledgehammer potrebbe in verità essere diverso, come sembra suggerire il titolo stesso: World War II si presenta con questo nome “universale”, che sembra quasi una dichiarazione d’intenti.

Come se il gioco volesse essere, in buona sostanza, un compendio integrale del conflitto, racconto corale e onnicomprensivo, con un intento persino documentaristico. Gli spot del reveal ufficiale, previsto per mercoledì alle 19, nonché le prime voci di corridoio, lasciano intendere che si tornerà a combattere sulla spiaggia più famosa della Seconda Guerra Mondiale, e che rivivremo con tutta probabilità la furia e la voglia di rivalsa dello Sbarco in Normandia. E che male c’è, se è una situazione già raccontata in passato? Al di là del fatto che si tratta di un punto di svolta fondamentale per la guerra, il punto è che oggi è cambiata profondamente la tecnologia, e che gli strumenti in mano a Sledgehammer sono ben diversi rispetto a quelli su cui si poteva contare dieci anni fa.

Perché di questo stiamo parlando: come accennavamo poco sopra, World at War usciva esattamente nel 2008. Da allora non solo Call of Duty, ma anche tutto il mercato ha preso le distanze dai contesti storici. Ci siamo dovuti sorbire guerre moderne, conflitti spaziali, contesti distopici, ucronie (tra cui quella, eccellente, dell’ultimo Wolfenstein). Forse è giunto davvero il momento di guardare con più entusiasmo ad un ritorno al passato, fiduciosi che il nostro medium abbia oggi gli strumenti per raccontarlo il maniera diversa: più entusiasmante, più avvolgente e credibile.

Un lavoro da Specialisti?

Inspiegabilmente “nascosta” come contenuto endgame, la difficoltà Specialista era uno degli elementi più convincenti dello sfortunato Infinite Warfare. Selezionando questa modalità, si rinunciava alla ricarica automatica della salute, affidandosi quindi al recupero di medikit sparsi per la mappa. Anche il sistema di hitbox era completamente rivisto, con tanto di conseguenze diversificate a seconda della zona ferita o dell’arto colpito. Il feeling era quello di un classico sparatutto anni ’90: che sia stato un esperimento per valutare le qualità di un gameplay profondamente diversificato rispetto a quello classico? Magari possiamo aspettarci il suo ritorno in WWII?

Ricordo ancora quando Infinity Ward, nel 2005, arrivò sul mercato con l’incredibile Call of Duty 2: il comprensibile entusiasmo del pubblico era determinato soprattutto dal fatto che sembrava veramente di essere all’interno del conflitto. Le scene erano corali, traboccanti di soldati, magniloquenti. A rivedere oggi le sequenze di gioco viene quasi da sorridere. E da pensare, soprattutto, che ci sia davvero lo spazio per uno shooter che sappia “tradurre” quelle vecchie emozioni in un linguaggio moderno, con un colpo d’occhio capace di rendere merito alle qualità di questa generazione di console.

Ovviamente la qualità della produzione andrà soppesata dopo un contatto diretto, ma che il grande pubblico voglia squalificarla a priori sembra perlomeno ingiusto. Le considerazioni sulle fonti di ispirazioni della copertina sono questioni di lana caprina, e quello che conterà sarà ovviamente la statura del gameplay. A tal proposito, è bene ricordare che Sledgehammer è il team che ci ha presentato, tre anni fa, il Call of Duty più anticonvenzionale di tutti. Nonostante fosse ambientato in un contesto futuristico, Advanced Warfare aveva un sapore ben diverso rispetto ai capitoli “esagitati” di Infinity Ward, e persino il comparto multiplayer era meno frenetico rispetto alle proposte di Treyarch. Sarà molto difficile, in ogni caso, che la serie voglia rinunciare, almeno sul fronte del competitivo, ai suoi tratti distintivi (incarnati soprattutto da una velocità incalzante), ma sul fronte del Single Player possiamo aspettarci invece delle soluzioni più ardite e coraggiose. E del resto andrebbe benissimo così: perché le due esperienze corrono parallele e indipendenti, ed è pure giusto che Activision coltivi la dichiarata passione della sua community per i ritmi accesi del PvP.

Senza per questo perdere l’occasione di raccontare una storia interessante. Per il resto, anche l’idea che una parte della produzione possa concentrarsi sulla cooperativa è interessante. Ci aveva provato l’ultimo l’ultimo Black Ops, ma con risultati poco convincenti. A guardarsi intorno, è chiaro che nel mercato ci sarebbe posto per uno sparatutto co-op convincente e ben strutturato, dal momento che questa dimensione è rimasta per il momento legata a titoli che hanno qualche elemento di persistenza (da Destiny a The Division, passando per Ghost Recon Wildlands). Sarebbe opportuno, invece, avere uno shooter cooperativo più diretto, immediato e “leggero”, che sappia valorizzare al meglio le già ottime doti della classica modalità Zombie, o che recuperi l’idea alla base delle Operazioni Speciali di Modern Warfare 2 (e della variante “a ondate” del suo sequel diretto).

Lo spazio di manovra per rendere World War II un titolo interessante, insomma, non manca. Tutto è ovviamente nelle mani del team, e noi saremo pronti a valutare le qualità ludiche della produzione. Viste le doti di Sledgehammer e la ritrovata attenzione del mercato per le ambientazioni storiche, in ogni caso, il minimo che possiamo fare è aspettare il reveal con sincera curiosità.

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