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Brexit, ecco come farla “intelligente”: lo scoglio è il libero movimento

Nov 23, 2016

LONDRA – Un enigma che pone complicatissime questioni tecniche, ma che si può risolvere, se da entrambe le parti ci sarà la volontà politica di farlo. E’ l’ipotesi per quello che succederà alla Gran Bretagna e all’Unione Europea al termine del negoziato sulla Brexit, uscita da quasi due ore di dibattito questa mattina all’ambasciata italiana di Londra con la partecipazione di politici ed esperti di primo piano. Al dibattito, introdotto dall’ambasciatore Pasquale Terracciano, hanno preso parte fra gli altri Lord Hill, ex-commissario britannico alla Ue, Lord Boswell, presidente della commissione affari europei della camera dei lord, Lord Hannay, a lungo coinvolto in passato nelle trattative fra Londra e Bruxelles, l’ex-ministro del Tesoro italiano e attuale presidente della divisione investimenti della JP Morgan, Vittorio Grilli, l’ambasciatrice della Commissione Europea a Londra, Jacqueline Minor, il presidente della think tank Chatam House Stuart Popham, l’economista e amministratore delegato della think tank MacroGeo Brunello Rosa. Il convegno era organizzato dallo Studio Legale Grimaldi e dalla società di consulenze finanziarie EnVent.

La discussione si è svolta secondo le cosiddette “regole di Chatam House”, che impediscono di indicare chi ha detto cosa, allo scopo di permettere che tutti parlino senza peli sulla lingua. Ma il succo dei discorsi si può riferire e aiuta a illuminare le difficoltà e le prospettive della Brexit, che tanta incertezza causano al mondo della finanza, dell’industria e del commercio internazionale.

Qualcuno, per descrivere la situazione che si è creata, ha evocato la vecchia massima di Churchill sull’Unione Sovietica: “Un rebus, avvolto in un mistero, dentro un enigma”. Altri hanno osservato che la Brexit è solo l’inizio, non la fine, di una tendenza che ha ora visto un’altra sorpresa in America con l’elezione di Trump e che verrà messa alla prova nel prossimo futuro da nuovi appuntamenti elettorali carichi di incognite, in Italia, Austria, Francia, Germania. Si è notato che il dilemma ripetuto in questi giorni, fra una “hard Brexit” e una “soft Brexit”, cioè fra un’uscita totale della Gran Bretagna dall’Europa e una che preveda la permanenza del Regno Unito nel mercato comune, è un falso problema: si tratta piuttosto di decidere fra una “smart Brexit” e una “stupid Brexit”, ossia fra una Brexit intelligente e una stupida, fra una Brexit che rispetta gli interessi di ognuno e una che danneggia gli interessi di tutti.

Nel corso del dibattito è stato riconosciuto che la Brexit richiederà un esercito di specialisti per affrontare migliaia (gli atti, le norme e le leggi da modificare sono ben 60 mila) di complessi problemi tecnici. Ma è stato anche detto che per arrivare a una “Brexit intelligente” non servirà soltanto una brillante soluzione tecnica bensì in primo luogo la volontà politica delle due parti di arrivarci. Se si vuole una soluzione, insomma, si potrà trovarla. Se viceversa prevarrà la contrapposizione, non serviranno i migliori esperti legali ad aggirarla.

Su un punto è sembrata emergere piena concordia: è interesse generale che determinati accordi vengano conservati e non dovrebbe essere troppo difficile riuscirci. Per esempio concedere reciproci diritti di permanenza indefinita agli attuali residenti europei in Gran Bretagna e agli attuali residenti britannici negli altri paesi dell’Unione. E poi i trattati sul traffico aereo, sulla cooperazione nella ricerca scientifica, sulla sicurezza contro crimine e terrorismo: sarebbe assurdo cancellare tutto questo.

E tuttavia appare chiaro, almeno ai presenti alla discussione di stamane in ambasciata, quale sia il vero, grande ostacolo a una Brexit intelligente: la libertà di movimento, ovvero la libertà di immigrazione in Gran Bretagna per i cittadini dei 27 paesi della Ue. C’è chi è convinto che sia possibile trovare nella legislazione già esistente un compromesso per consentire al Regno Unito non di eliminare l’immigrazione tout court, che non è il suo obiettivo, ma di porvi limiti e controlli, potendo restare così nel mercato comune, soluzione che tranquillizzerebbe mondo finanziario e imprenditoriale, mettendo altresì la Gran Bretagna al sicuro dalle minacciate spinte secessioniste in Scozia e Irlanda del Nord. Altri ammoniscono che sarà impresa ardua se non impossibile, per il governo di Theresa May, accontentarsi di mezze misure in questo campo, perché la Brexit è stata finora presentata in concreto come il modo per mettere un più consistente freno all’immigrazione.

La conclusione è che Londra non ci ripenserà: in una maniera o nell’altra lascerà l’Unione Europea. Il monito da tenere presente è che questo, come tutti i divorzi, provocherà amarezze su entrambi i fronti. L’avvertenza è che, come in quasi tutti i negoziati, ci vorrà pazienza: la base dell’accordo emergerà alla fine della trattativa, non all’inizio, dunque non prima del 2019 considerato che il biennio di negoziato inizierà nel marzo prossimo. E l’augurio, davanti a questo “enigma, chiuso in un mistero, dentro un rebus”, sta nei precedenti: altri problemi che sembravano un enigma irrisolvibile, come il conflitto in Irlanda del Nord, alla fine sono stati risolti. Se ci sarà la volontà politica di farlo, come è stato detto oggi all’ambasciata d’Italia, si risolverà anche l’enigma della Brexit.

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