Creatività e immaginazione sono fra le doti umane di cui maggiormente ammiriamo i prodotti. Potremmo però chiederci se sono caratteristiche solo umane, come si siano evolute e quanto antica sia la storia della loro evoluzione. I neurobiologi evolutivi hanno provato a creare un quadro in grado di sintetizzare lo stadio delle conoscenze attuali, che è grosso modo il seguente. Partiamo dalle nostre capacità di ricordare oggetti, percorsi ed eventi: questi ricordi passati sono codificati da gruppi di neuroni della neocorteccia. Ricordare una cosa o un episodio riattiva gli stessi neuroni che inizialmente lo codificavano. Probabilmente tutti i mammiferi possono ricordare e rivivere oggetti ed eventi precedentemente codificati riattivando lo stesso gruppo di neuroni. Il sistema di memoria basato sulla neocorteccia-ippocampo che si è evoluto 200 milioni di anni fa è diventato poi, secondo le teorie più recenti, il primo passo fondamentale verso lo sviluppo della capacità di immaginare.
Il successivo passo in quella direzione è la capacità di costruire una “memoria” che non è realmente accaduta, cioè di codificare immagini mentali di oggetti ed accadimenti mai incontrati, per così dire “nuovi” alla nostra esperienza. La forma più semplice di costruire nella nostra mente nuovi oggetti e scene avviene nei sogni. Queste fantasie involontarie vivide e bizzarre sono associate nell’uomo con la fase del sonno Rem (Rapid Eye Movement). Per omologia, gli scienziati ipotizzano che i tipi di mammiferi il cui riposo include periodi di sonno Rem sperimentino sogni. I mammiferi marsupiali e placentari hanno il sonno Rem, ma i monotremi come l’echidna, un primitivo mammifero che depone le uova, no, suggerendo che questa fase del ciclo del sonno si è evoluta dopo che i monotremi ed il resto dei mammiferi si separarono, circa 140 milioni di anni fa. In effetti, la registrazione dell’attività di certi neuroni specializzati nel cervello per codificare il ricordo dei luoghi ha dimostrato che gli animali dotati di sonno Rem possono sognare di andare in luoghi indipendentemente dalla reale percezione della realtà.
L’attività cerebrale dei sogni, ovvero la libera riassociazione di ricordi reali o creati dal nulla nel nostro cervello durante la fase Rem del sogno, ha dimostratamente diverse funzioni di rinforzo e di “pulizia” della memoria e dei processi cognitivi, ma, al contempo, rappresenta anche una forma di immaginazione “incontrollata” – un modo in cui, non a caso, sono spesso descritti i sogni dai poeti e dagli artisti che cantano le fantasie notturne. La differenza tra immaginazione involontaria, come quella onirica, e immaginazione volontaria è, secondo quanto ci dicono le teorie moderne, analoga alla differenza tra controllo muscolare volontario e spasmo muscolare. Il controllo muscolare volontario consente alle persone di combinare deliberatamente i movimenti muscolari. Lo spasmo si verifica spontaneamente e non può essere controllato. Allo stesso modo, l’immaginazione volontaria consente alle persone di combinare deliberatamente le proprie memorie – ovvero le immagini mentali – e anche le astrazioni derivate dall’esperienza della realtà. Quando ad un soggetto si chiede di sovrappore mentalmente il centro di due cerchi di diametro identico, si immagina immediatamente che i due cerchi saranno perfettamente corrispondenti. Allo stesso modo, se si chiede ad un soggetto di immaginare di comporre un mazzo di rose e margherite raccogliendo 6 fiori di ogni tipo, riusciamo a visualizzare – cioè immaginare – l’intero processo.
Questa capacità deliberata, reattiva e affidabile di combinare e ricombinare oggetti mentali, derivati dalla memoria e dalle astrazioni ricavabili per generalizzazione di oggetti e processi memorizzati, è chiamata sintesi prefrontale. Si basa sulla capacità della corteccia prefrontale situata nella parte anteriore del cervello di controllare il resto della neocorteccia. Quando la nostra specie ha acquisito la capacità di sintesi prefrontale? Per quel che ne sappiamo oggi, a partire da 70.000 anni fa questa capacità era già sviluppata: ci sono infatti vari reperti archeologici che ne indicano inequivocabilmente la presenza, ovvero rappresentazioni di creature inesistenti (uomini-leone, ad esempio), aghi ossei con inciso un occhio, archi e frecce, strumenti musicali, sepolture complesse che suggeriscono credenze nell’aldilà e molti altri reperti. Come si potrà notare, ognuno dei reperti citati implica la sintesi di immagini mentali non reperibili nella realtà fisica, e dunque indicano con certezza l’esistenza del processo immaginativo dovuto alla sintesi prefrontale.
Dopo 65.000 anni fa, manufatti come quelli riportati appaiono in contemporanea in moltissime località geograficamente distinte, in approssimativa coincidenza con una importante migrazione della nostra specie fuori dall’Africa; se guardiamo ance ai dati di paleogenetica e alle inferenze derivabili dai dati moderni, è possibile che alcuni individui abbiano acquisito capacità immaginative superiori agli altri, per poi diffondere il tratto in tutta la popolazione umana in modo sorprendentemente rapido.
Le strategie cognitive consentite dall’immaginazione, cioè, hanno da subito rivestito una funzione adattativa particolarmente vantaggiosa, rendendo rapidamente predominanti quegli antenati più fantasiosi, i quali non solo immaginavano e rappresentavano con una nuova produzione artistica le loro fantasie, ma potevano utilizzare gli stessi circuiti cerebrali per pianificare o esplorare mentalmente una realtà ancora sconosciuta, preparandosi meglio ad essa con la loro immaginazione. A partire dall’antichissima attività onirica associata al sogno Rem, assente per quello che ne sappiamo oggi solo nei primitivi monotremi, si è arrivati in centinaia di milioni di anni ad una immaginazione controllata, capace di dare origine all’arte, ma anche alla scienza; questa è, alla luce della scienza moderna, la storia della nostra fantasia.