MILANO – 10:10. In una settimana priva di eventi macroeconomici di rilievo, l’attenzione dei mercati è tutta rivolta verso le grandi banche centrali. A due settimana dalla decisione della Bce di mantenere lo status quo rinviando ogni decisione sull’ampliamento del quantitative easing a fine anno, la palla passa in contemporanea alla Federal Reserve e alla Bank of Japan. L’euro viene scambiato a 1,1166 dollari (+0,1%) mentre lo yen cala a 102,09 (-0,19%). Stabile anche lo spread: la differenza di rendimento tra Btp e Bund segna 134 punti, lo stesso livello della chiusura di venerdì, mentre i titoli italiani sono scambiati sul mercato secondario con un tasso dell’1,34%. Ben intonate le Borse: Londra sale dell’1,4% come Parigi, mentre Francoforte lo 0,9% come Piazza Affari.
In Giappone, dove i mercati oggi sono chiusi per festività, la Banca centrale annuncerà i risultati di una “ricerca allargate” sulle politiche ultraespansive adottate negli ultimi anni. E dal momento che Francoforte condivide con Tokyo i tassi negativi, un’inflazione stagnante e un programma di acquisti in continua crescita è evidente come i risultati raggiunti dalla BoJ vengano guardati con particolare attenzione anche dalla Bce. Difficile – secondo gli analisti – che il Giappone spinga ulteriormente in negativo il costo del denaro, ma è possibile che aumenterà di altri 10 mila miliardi di yen il suo programma di acquisti che dovrebbe così salire a quota 90 mila miliardi (circa 790 miliardi di euro), modificando la composizione dei propri acquisti, con un occhio alla crescita dei rendimenti, da cui dipende la redditività di banche e fondi pensione. Una strada alla quale anche Mario Draghi guarda con attenzione.
A catalizzare tutti i timori e le preoccupazioni dei mercati è tuttavia la Federal Reserve che si riunirà da martedì e mercoledi prossimi. I mercati confidano in un rinvio del rialzo dei tassi, ma i dati macroeconomici arrivati dagli Stati Uniti sono contrastanti: il presidente della Fed di Atlanta, Dennis Lockhart, contrario a un aumento del costo del denaro, ha quindi promesso una “discussione animata”. D’altra parta è una Federal Reserve spaccata quella che martedì prossimo riunirà il direttivo e mercoledì annuncerà la sua decisione sui tassi di interesse, ancora prossimi allo zero dopo il rialzo dei dicembre. Nei giorni precedenti i vertici della banca centrale americana hanno dichiarato tutto e il contrario di tutto, gettando nella confusione gli investitori. Nel fronte dei falchi emerge il vicepresidente Stanley Fischer, che vorrebbe archiviare il 2016 con almeno due rialzi (uno la settimana prossima e uno a dicembre), e il presidente della Fed di Boston, Eric Rosengren. Il fronte delle colombe appare invece guidato da Lael Brainard, tra i membri più influenti del board, che chiede “pazienza”.
Secondo i future sui Fed Fund, usati per anticipare le mosse della Banca centrale Usa, le possibilità di un rialzo dei tassi sono ferme al 12%, mentre salgono al 55% per una stretta a dicembre. Tuttavia non è escluso che alla fine Janet Yellen decida di aspettare ancora: c’è il 31% di possibilità che i tassi restino fermi fino alla prossima estate. D’altra parte, se la crescita dell’inflazione è apparsa sopra le attese, aumentando le probabilità di una stretta, altri numeri, come quelli sulle vendite al dettaglio, sono risultati assai deludenti.