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Beffa per la perseguitata ebrea: lo Stato chiede indietro il vitalizio concesso 14 anni fa

Gen 14, 2021

Aveva vissuto sulla sua pelle le discriminazioni delle leggi fasciste. Era stata emarginata e insultata a scuola per il fatto di essere ebrea, lei che sarebbe poi diventata insegnante alla scuola ebraica di Torino. E aveva perso anche un fratello, a causa delle leggi razziali. Messauda Fadlun, classe 1928, era un’ebrea nata a Bengasi e cresciuta a Tripoli. Nel 1982 era stata riconosciuta come “perseguitata razziale” e nel 2007 la Commissione per le provvidenze ai perseguitati politici e razziali le aveva concesso l’assegno vitalizio di benemerenza che si rilascia ai cittadini italiani vittime di persecuzioni. Ma quello che sembrava un risarcimento pacifico da parte dello Stato si è invece ingarbugliato in una serie di ricorsi giudiziari davanti alla Corte dei conti, quando dal ministero delle Finanze è arrivata la comunicazione che non solo veniva interrotta l’erogazione del sussidio ma si ordinava anche la restituzione di quanto ricevuto negli anni, 80mila euro.

Alberto Finzi, vedovo della perseguitata


A denunciare pubblicamente la vicenda è Ariel Finzi, rabbino della Comunità ebraica di Napoli e figlio della donna, che è scomparsa nel 2018. “Ora lo Stato chiede a mio padre Alberto Finzi, che ha quasi 99 anni, la restituzione di quella somma – attacca – Ma non è stato un nostro errore a generare tutto questo. Mia madre ha chiesto ciò che le spettava e che in un primo momento le è stato riconosciuto e poi negato in un susseguirsi di decisioni kafkiane”. Alla donna è stato infatti contestato che, essendo nata e cresciuta in Libia, non aveva in quel momento la piena cittadinanza italiana che spettava a chi era nato nella penisola, ma una cittadinanza di “italiani-libici”, che era data a chi nasceva nella colonia oltre il Mediterraneo. E da questo, secondo gli uffici ministeriali, derivava l’insussistenza del diritto al vitalizio. Tuttavia la donna prima e i suoi eredi ora contestano quella che appare, decenni dopo, una ulteriore discriminazione.

“Le leggi razziali non facevano distinzione tra cittadinanza piena e piccola cittadinanza”, aveva argomentato la donna davanti ai giudici contabili, raccontando loro, tra le tante ingiustizie patite quando era ragazzina, quello che l’aveva segnata di più, ovvero la morte del fratello. Il giovane, infatti, aveva problemi di salute ed era stato consigliato alla famiglia di portarlo in montagna. Ma nel tempo intercorso nel 1938 tra la prenotazione dell’albergo e il soggiorno erano state emanate le nuove leggi. Una volta arrivati a destinazione, l’albergatore li aveva respinti. Dormirono due notti in sistemazioni di fortuna, che peggiorarono la salute del ragazzo fino alla morte.


Di fronte alla revoca dell’assegno, Messauda Fadlun aveva fatto ricorso alla Corte dei conti di Torino, che è l’organo giudiziario competente per questo tipo di controversie contro il ministero delle Economie e delle Finanze. Nel 2014 il giudice piemontese le ha dato ragione. Ma il ministero ha fatto a sua volta ricorso davanti alla sezione d’appello della Corte dei conti di Roma, che invece nel 2017 ha dato ragione allo Stato con una sentenza definitiva. A cui però gli eredi, assistiti dall’avvocato Paolo Bonaiuti del foro di Roma, si sono opposti in extremis.

Ieri, davanti alla corte dei conti di Torino, si è celebrata un’udienza che ha sospeso il provvedimento impugnato in attesa di ulteriori riscontri. “A 65 anni dall’emanazione della legge Terracini troppe sono ancora le difficoltà per chi ha diritto al vitalizio – commenta l’avvocato Giulio Disegni, componente della Commissione della presidenza del consiglio per le provvidenze ai perseguitati – Tra le maggiori criticità c’è sempre stata la prova delle persecuzioni: finalmente con la legge di bilancio a fine 2020 la norma è stata modificata, ma questo non copre i problemi ancora aperti, nella convinzione che chi ha subìto persecuzioni e discriminazioni non debba più subire iniquità”.

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