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Badante segregata, l’uomo aveva già una condanna per la stessa cosa: il precedente nel 1995

Nov 24, 2017

Ripubblichiamo un articolo del 1995: Aloisio Francesco Rosario Giordano, allora trent’enne, aveva sequestrato e violentato per mesi una ragazza di 23 anni, con modalità simili a quelle raccontate in questi giorni

LAMEZIA TERME – Racconta l’inferno e mostra i segni delle violenze patite. Per cinque mesi, Maria Rosa, 23 anni, è stata “sequestrata” e per due volte è stata fatta abortire: una a furia di calci e di botte, l’altra, dopo essere stata legata con le mani dietro la schiena, con un bisturi rudimentale e un cucchiaio.

Lui, che le aveva promesso una vita insieme, che l’aveva portata a casa sua obbligandola poi a vivere con la propria moglie e i due figlioletti, adesso è in carcere con un elenco d’accuse gravi, che rendono però l’idea di quel che sarebbe avvenuto in una casa di Gizzeria e in una masseria poco distante: sequestro di persona, violenza carnale, atti di libidine violenta aggravati e continuati, procurato aborto, pratica illecita dell’attività medica.

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L’uomo si chiama Aloisio Francesco Rosario Giordano, ha 30 anni, diploma magistrale, qualche anno di università a legge, famiglia d’origine benestante, sposato con una bella ragazza marocchina, Raskaovi Bouchra, 28 anni, che gli ha dato due figli, un maschietto di due e una femmina di un anno. Nega, si difende. La moglie dice: “È un brav’uomo, era lei che lo istigava”.

Il legale, Fabrizio Falbo, invita alla prudenza, sostiene che “le accuse sono prive di convincenti riscontri”. Ma il gip Alessandro Moneti, ieri mattina, ci ha messo poco a confermare l’arresto disposto dal sostituto procuratore Luciano Lucietti. Le indagini dei carabinieri, firmate dal capitano Roberto Zuliani (è l’ufficiale che, “incastrando” Mario Chiesa, diede il via con il giudice Di Pietro a Mani Pulite) inchioderebbero Aloiso.

C’è il racconto sconvolgente e puntuale di Maria Rosa, c’è il referto dei medici della Divisione di Chirurgia dell’ ospedale di Lamezia, dove la ragazza è ricoverata, che certifica le sevizie, le lacerazioni, le contusioni subite. E ci sono poi rudimentali arnesi che i carabinieri hanno ritrovato nella casa colonica utilizzata per le “turture”: il bisturi usato per il secondo aborto, una mazzetta di legno con cui l’uomo avrebbe sodomizzato la ragazza, altri aggeggi per strane pratiche sessuali.

Era iniziato tutto come una love story. Lui diceva di amarla e di volere vivere con lei, lei l’ha seguito convinta che prima o poi avrebbe divorziato dalla moglie. Dal 30 ottobre dell’anno scorso per Maria Rosa, piano piano, quella che doveva essere una storia d’amore si è trasformata in un incubo. I suoi, gente modesta che vive a Lamezia, nelle prime settimane l’avevano implorata: ritorna a casa, lascia quest’uomo. Quando si è accorta di essersi cacciata in un tunnel, Maria Rosa si è trovata tutta sola. Non poteva neppure fuggire perché l’uomo, uscendo di casa, chiudeva la porta dall’ esterno.

Ma il 22 mattina Aloiso esce e dimentica di chiudere a chiave. Maria Rosa scappa, così com’è, in pigiama, buttandosi sulle spalle un giaccone. Raggiunge la vicina stazione ferroviaria di Falerna, invoca aiuto, viene soccorsa. Poi racconta tutto. Più volte violentata è rimasta una prima volta incinta. “Portami in ospedale”, invocò ma il suo uomo gli avrebbe risposto: “Il medico sono io”. E giù, secondo la ragazza, pugni, calci fino ad arrivare all’aborto. Poi la situazione si ripresentò. Francesco allora condusse la ragazza nella casa colonica, s’inventò medico, le procurò il nuovo aborto.

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