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Arrivare secondi non è una sconfitta: ce lo dice la storia di questi piloti

Mar 28, 2023

Il secondo è il primo dei perdenti” è una celebre frase di Enzo Ferrari che condanna con brutale ironia tutti coloro che arrivano a un passo dalla vittoria e che nel tempo abbiamo sentito utilizzare come provocazione, magari dopo qualche trionfo schiacciante del vincente di turno. Cosa c’è di spietatamente vero e cosa invece non va preso sul serio di un’affermazione del genere? Detta da un personaggio come il Drake, sempre in competizione contro tutti con le sue “macchine”, non c’è da stupirsi troppo e ha un suono particolare, ma la verità è che di grandi secondi ce n’è qualcuno importante quanto un vincente vero.

Il primo da ricordare è certamente Randy Mamola, pilota che ha trascorso gli anni migliori della sua carriera nel Motomondiale dal 1979 al 1992 e specialmente nella classe 500. Nato a San Jose nella contea di Santa Clara in California, proprio nella categoria maggiore ha collezionato tredici vittorie complessive, un bottino che negli anni ottanta sarebbero bastati per vincere almeno due titoli iridati. Mamola (si pronuncia con l’accento sulla o), è stato un funambolo su due ruote, capace di numeri spettacolari in qualsiasi pista e in qualunque fase di gara, passato alla storia per essersi classificato quattro volte secondo e due volte terzo finale, accarezzando il mondiale senza mai conquistarlo.

La prima occasione fu nella stagione 1980 con la Suzuki, quando dovette arrendersi al marziano Kenny Roberts che inanellava il terzo alloro consecutivo, mentre nel 1981, sulla stessa moto, arrivò secondo dietro a Marco Lucchinelli nel suo unico trionfo in sella alla Suzuki del team Gallina. Il terzo secondo posto è del 1984, quando con la Honda si fece battere in classifica da Eddie Lawson, per ripetersi tre stagioni più tardi, stavolta in Yamaha dietro a Wayne Gardner. I due terzi posti risalgono invece alle stagioni 1983, quando a precederlo furono Freddie Spencer e Roberts e al 1986 dietro a Lawson e Gardner. Insomma, è abbastanza evidente che per Randy, l’incontro con questi piloti sia stato determinante per i suoi risultati, ma resta uno dei più acclamati e ricordati della scuola americana e del periodo d’oro della classe regina.

Aaron Slight è a pieno titolo il pilota neozelandese più conosciuto del motociclismo degli ultimi trent’anni. Talentuoso in pista e personaggio dentro e fuori dal paddock, è stato uno dei maggiori interpreti della prima Superbike, sfiorando il titolo due volte e arrivando terzo finale quattro (tre volte consecutivamente). Originario di Masterton, ha debuttato presto vincendo il Campionato australiano e Pan-Pacifico nel 1991 e tre volte l’8 Ore di Suzuka dal 1993 al 1995. In Superbike comincia con la Bimota, ma è grazie alla Kawasaki che ottiene la prima vittoria. Passa a Honda e sempre in quegli anni arriva terzo in classifica generale per tre volte consecutivamente.

E’ nel 1996 che si gioca il primo titolo e con una sola vittoria e undici podi deve cedere a il primato a Troy Corser. L’anno successivo è terzo per la quarta volta, mentre nel 1998, con cinque vittorie e cinque secondi posti non può nulla contro “King” Carl Fogarty e si classifica secondo per la seconda volta. Soprannominato il “guerriero maori” per le sue origini, o semplicemente il “kiwi”, Slight aveva il taglio alla moicana con la cresta di capelli colorata di verde o di rosso e mostrava un fisico da surf da onda. Abituato a portare il numero ‘3’ sulla carena, dopo i tre terzi posti consecutivi lo cambiò in ‘111’, quasi ad esorcizzare le tre occasioni mancate, senza sapere che i suoi anni di eterno secondo erano solo arrivati a metà. Curiosità, dal 2007 al 2011 in Superbike, anche Ruben Xaus ha portato il 111 sulla carena, così come attualmente Luca Ottaviani, nella Classe Supersport del CIV.

Poteva essere un eterno secondo e in parte lo è stato, ma Tom Sykes è riuscito nell’impresa. Il pilota di Huddersfield è stato colui che dopo un digiuno durato vent’anni, ha riportato il titolo Superbike alla Kawasaki. Ci sarebbe riuscito anche l’anno prima, ma una serie di combinazioni e una classifica con punteggio dimezzato nel round di Silverstone, fece perdere la vittoria finale all’inglese in favore del nostro Max Biaggi. Attenzione, il corsaro non ha assolutamente demeritato, ma è particolare come un pilota sia giunto secondo per solo 0,5 punti in meno. Il debutto nel campionato delle derivate di serie risale al 2008, anno in cui prese parte a due Wild Card con la Suzuki con cui correva nel campionato inglese.

Nel 2009 invece entrò in pianta stabile come compagno di squadra di Ben Spies in sella alla Yamaha. Al fianco del texano, che si mangiò gli avversari vincendo il titolo, Tom si piazzò quasi sempre in top ten senza mai calcare il podio. Sembrava una stagione opaca, senza troppe pretese, ma l’anno dopo, passando in Kawasaki, i risultati scesero drasticamente e pur con una vittoria all’attivo, per due stagioni si piazzò rispettivamente tredicesimo e quattordicesimo finale. Sembrava non essere la moto vincente, invece nel 2012 arrivarono quattro vittorie e nove podi. Con il maggior numero di podi conquistati non vinse il campionato accontentandosi del secondo posto che sembrava una maledizione. Fortunatamente, nel 2013 Sykes vinse il Mondiale Superbike con nove vittorie e nove piazzamenti sul podio. Secondo alloro per la Kawasaki dopo quello del 1993 di Scott Russell, fu il preludio al ciclo dei sei titoli consecutivi di Jonathan Rea, dal 2015 al 2020. Con il minor distacco in classifica di sempre in Superbike del 2012, se non avesse vinto l’anno dopo, Sykes sarebbe stato ricordato più probabilmente per quel mondiale mancato per mezzo punto, invece che per le sue belle vittorie.

Concludiamo con un salto molto indietro nel tempo e andiamo al 1949. Il regolamento del Campionato Mondiale di motociclismo citava: “Pour le meilleur tour accomplì par un concurrent classé: 1 point” e tale regola fu decisiva nell’assegnare il primo storico titolo a Leslie Graham su AJS che a fine stagione aveva totalizzato 28 punti, uno in meno di Nello Pagani, pilota di punta Gilera, che si vide sfumare il primo storico mondiale della classe 500. Passando da Europeo a Mondiale, la lingua ufficiale e con la quale era stato redatto il regolamento era il francese. Nella traduzione in italiano fu commesso un errore per il quale si pensava contasse compiere il miglior giro assoluto della gara se classificati. La differenza tra le due versioni non valse il ricorso della Federazione Italiana e con 30 punti, Graham si laureò campione della Classe 500. Così si concluse il primo anno di Mondiale per Cirillo “Nello” Pagani, milanese e uno dei più grandi assi italiani della motocicletta, con una carriera lunga quarant’anni, dal 1927 al 1967 e un conflitto mondiale in mezzo, è stato tra i più eclettici motociclisti che la storia delle corse abbia mai conosciuto. Il suo unico titolo è sempre del 1949 su Mondial 125, ma resta celebre quel campionato sfiorato.

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