• 29 Aprile 2024 5:48

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Anche ai professori servirebbero i trattori

Feb 8, 2024

I professori universitari non dispongono di trattori, e i loro colleghi che insegnano a scuola non possono certo invadere le autostrade con i famigerati banchi a rotelle. Perché se potessero disporre degli stessi mezzi usati in questi giorni dai contadini per protestare, molto probabilmente loro, i professori, e con loro la stragrande parte dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche non si fermerebbero al palco di San Remo. Per capire a cosa mi riferisco, il lettore dovrà avere la pazienza di seguirmi in un breve resoconto di quel che sta accadendo a causa dell’introduzione di una serie di norme, valide per tutte le amministrazioni pubbliche, che avrebbero il nobile scopo di promuovere la digitalizzazione e soprattutto l’integrazione del flusso dei dati di tutto il sistema degli acquisti, il che avrebbe naturalmente ovvi benefici tanto nel controllo della spesa pubblica, quanto nella prevenzione dei crimini corruttivi e comunque legati alle malversazioni con i soldi del contribuente.

Dunque vediamo: a partire dal primo gennaio di quest’anno, ed in seguito ad una circolare ANAC del 13 dicembre 2023, per effettuare tutti gli acquisti di ogni genere e non importa per quale importo le pubbliche amministrazioni devono acquisire un codice alfanumerico corrispondente al singolo contratto di acquisto, chiamato CIG (codice identificativo di gara) che, apprendiamo dell’ANAC, vede in aggiunta alle sue funzioni usuali durante lo svolgimento delle gare pubbliche anche “il compito di individuare univocamente (tracciare) le movimentazioni finanziarie degli affidamenti di lavori, servizi o forniture, indipendentemente dalla procedura di scelta del contraente adottata, e dall’importo dell’affidamento stesso”. Per potere ottenere il CIG in corrispondenza di un acquisto da effettuare, esistono due vie: utilizzare una piattaforma certificata e compatibile con il sistema informatico messo su da ANAC e dal ministero competente, oppure “utilizzare un’interfaccia web messa a disposizione dalla Piattaforma contratti pubblici”, come spiega ancora l’ANAC.

Chi ha provato a costruire una piattaforma certificata, ha incontrato notevoli difficoltà, prevedibilmente dovute alle difficoltà di integrazione con qualcosa che dovrebbe controllare i singoli acquisti, anche di una matita, da parte di ogni ente pubblico su tutto il territorio nazionale; ma ancor peggio è andata a chi ha provato ad ottenere un CIG attraverso la piattaforma predisposta da ministero e ANAC, innanzitutto perché la mole di richieste proveniente dai singoli centri di spesa (molti per ogni amministrazione pubblica) ha prevedibilmente intasato i sistemi, e poi, come segnalato da più parti, ha messo di fronte gli utenti a difficoltà di ogni genere e grado.

E così, per tornare ai professori universitari – ma in verità a qualunque amministrazione pubblica – oggi assistiamo in sostanza al blocco o ad una estrema difficoltà degli acquisti da oltre in mese. Per fare un esempio pratico: bisogna sapere che la procedura richiede l’identificazione di un responsabile unico di progetto (RUP), certificato da ANAS, che è colui il quale, tramite la certificazione della propria identità digitale (SPID o altro equivalente) deve accedere alla piattaforma e seguire la procedura per ottenere il CIG. Ora, immaginate un professore che debba acquistare i reagenti per il proprio laboratorio, la carta per le fotocopie, lo spazio per pubblicare su una rivista e così via: ogni volta, per ciascuno di questi acquisti, dovrà sedere davanti al PC, pronto con lo SPID a trovare un varco nel portale predisposto, mentre presumibilmente decine di migliaia di altri utenti staranno cercando di fare lo stesso da comuni, scuole, ospedali. Ma esistono le segreterie amministrative, si dirà; certo, ma ogni professore dovrà fornire il proprio SPID a un impiegato, e comunque il poveretto dovrà impazzire per avere accesso, per usare SPID diversi e così via, in corrispondenza della responsabilità di progetto suddivisa fra i tanti professori di un dipartimento.

Già i più creativi si sono attrezzati per usare sistemi in teleconferenza di autenticazione, connettendosi in remoto con i propri responsabili amministrativi, e forse qualcuno riuscirà pure ad affittare un hacker per riuscire a comprare una nuova stampante; ma, potete credermi, al momento in molti atenei, laboratori, scuole, comuni, la situazione è disastrosa.

Non è finita qui: sempre dal primo gennaio di quest’anno, anche se in realtà vi è una proroga fino a settembre, si richiede che il servizio o il bene di qualunque importo, acquistato da un ente pubblico, provenga da un venditore schedato e certificato sulla piattaforma per gli acquisti digitali della pubblica amministrazione (MEPA). Ora immaginate che sempre il povero professore, superando ogni difficoltà e magari comprando di tasca propria ciò che gli serve, abbia sottoposto un articolo a Science o Nature e abbia avuto accettato il lavoro. Credete forse che queste riviste abbiano interesse a seguire la tediosa e a tratti alienante procedura per iscriversi sulla piattaforma MEPA? Forse avverrà che qualcuno, mosso a pietà, lo faccia, ma per lo meno per il grosso dei fornitori di beni non italiani che alimentano la nostra ricerca e innovazione, direi che l’ipotesi è abbastanza remota: il professore dovrà rinunciare, oppure sarà qualche suo collaboratore estero a dover pagare la pubblicazione.

Questi sono solo piccoli e particolari esempi delle condizioni in cui il nostro paese ha messo chi lavora negli enti pubblici; perché mentre a chi ha un trattore, un taxi o un ombrellone da difendere si presta la massima attenzione, per il resto, arrivando impreparati agli obblighi imposti dall’Europa (da lì discende la nuova normativa), si procede nel più classico degli scaricabarile. Rendendo la digitalizzazione niente di più che un nuovo formidabile burosauro, invece che uno strumento di agilità e semplificazione.

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