• 23 Aprile 2024 11:07

Corriere NET

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Alexandria Ocasio-Cortez al ballo

Set 15, 2021

“Tax the rich”, reca scritto sul retro la rocciosa deputata Alexandria Ocasio-Cortez, all’annuale Met Gala newyorchese, e naturalmente è scandalo, scandalo per l’immane cifra – trentacinquemila dollari il biglietto per il fondamentale evento – e per l’abito “politico”, perché la deputata appoggia la riforma del fisco americano molto discussa, in quel consesso di ricconi.

Ma il problema più che politico è geopolitico; il Gala 2021 è il trionfo della nuova America: è il primo dell’èra post-Trump, dunque riposizionamento d’Anna Wintour, largo spazio alla sinistra-sinistra, e il vestito sulle tasse belle è opera di un collettivo afro-incoraggiante e afro-inclusivo, e tra gli invitati la guest list ripulita vede la poetessa pradesca Amanda Gorman, la transizionata di moda Billie Ellish, e Timothee Chalamet, twink di lotta e di governo, bianco ed eterosessuale ma in quota ripudiatori di presunti sporcaccioni (nello specifico, Woody Allen).

 

Fisco e fisico, ecco la nuova America dei diritti.  Il vestito politico poi risulta imprestato, e il biglietto offerto (ma è sempre così, son gli stilisti che pagano e invitano); il vestito politico non è che sia poi una gran novità, “l’unica pelliccia che indosso”, scriveva Marina Ripa di Meana in tempi lontani e irsuti; “Italians do it better! (in quanto a tassazione, certamente), sosteneva Madonna, e “Stop being poor” teorizzava sull’abito Paris Hilton, un “aboliremo la povertà” più sartoriale (Padoa-Schioppa e i Cinquestelle dovrebbero chiedere il copyright).

 

Il dress code del Gala questa volta era “American independence”, perfettamente in linea con la nuova visione geopolitica bidenesca, reimportare la democrazia, aiutarci a casa nostra, ed è stato un gala letteralmente sovranista dato che non c’erano ospiti stranieri, trattenuti in Europa dalle quarantene e dai divieti di volo (tranne Donatella Versace forse dotata di speciale lasciapassare diplomatico).

 

Il vestito pro-Irpef però non l’aveva mai provato nessuno, e adesso si rischia che come al solito scatti l’effetto imitazione: per cui “facciamo come in America”, scommettiamo di sentire nei prossimi giorni (magari già nella settimana della moda femminile in corso a Milano: ma i due candidati al comune Sala e Bernardo chissà come reagirebbero).

 

Occhio infatti, sempre, a confondere i due paesi, l’America e l’Italia. Se sgomenta il prezzo del biglietto al Met va ricordato che in America si campa di incassi e di donazioni, e dunque il povero Fashion Institute, l’istituto della moda che ospita il gran ballo, non avrà poi altre entrate da imposte dirette e indirette come in Italia, non ci saranno milleproroghe o bollette e Ddl a finanziarlo.

 

E anche il “tax the rich” scandalizzerà meno in un paese in cui i vari Jeff Bezos (ospite all’edizione 2019, oggi forse impresentabile) pagano meno tasse in percentuale rispetto a bidelli e vigili italiani (ma non contribuirà poi anche questo a incoraggiarli a diventare grandi imprenditori, invece che assalitori di concorsi pubblici?).

 

Bisognerebbe infatti intendersi su cosa significa finalmente “rich”, anche per appurare una volta per tutte, nel complicato rapporto tra sinistra e danaro, qual è la soglia di ingresso per entrare nella prestigiosa sottocategoria dei “radical chic”, se si pensa che un posto al Met costa (anche calcolato il cambio) più dei 24 mila euro ritrovati nella cuccia ormai nota di Monica Cirinnà a Capalbio, entry level per entrare in questa bolla.

 

E del resto il progetto bideniano di alzare le tasse, quello endorsato dall’abito corteziano, vedrebbe l’aliquota passare dal 37 al 39 per cento, ma solo per chi guadagna dai 450 mila dollari in su, soglia talmente siderale da non essere nemmeno contemplata in Italia, paese dove si paga il 43 sopra i settantacinquemila euro, limite estremo alla ricchezza immaginabile dal legislatore (i limiti delle mie aliquote irpef sono i limiti del mio mondo).

 

Così insomma non va confuso progressismo con progressività, gala americani e gala italiani. Quello del Met è inzeppato di persone almeno nere e transgender e rappresentanti della nuova America “neopuritana”, secondo l’articolone di Anne Applebaum sull’Atlantic, la nuova America sanculotta  delle università mai abbastanza corrette o di sinistra. Ma la stessa Applebaum mette in guardia, attenzione che avviene da noi e non da voi. Parole vane.

 

Chi vorrà più tasse in scia al gonnellone corteziano potrà esser accusato di incomprensioni transatlantiche, come del resto l’allarmista collettivo che teme la famigerata Dittatura del Politicamente Corretto qui da noi, dove trionfano semmai, negli unici gala possibili, gratuiti e in rovine romane, i comici e i politici e i giornalisti che usano insulti già in uso da Petronio e da Apuleio, considerandosi però oggi modernissimi e “scorretti” con impennata di fatturati (mentre le solite nostre nonne e zie li avrebbero mazziati, non sospettando d’essere delle pericolose superwoke, e non andando nemmeno ai gala, nè a pagamento nè gratis).

 

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