Basta un tweet per fermare un “ballerino”. Certo, il tweet deve essere della Polizia di Stato e “u ballerinu” deve essere il boss Marcello Pesce – latitante della cosca di Rosarno – che appena finito in manette grazie al blitz degli uomini del Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia e della Squadra mobile di Reggio Calabria scattato alle 5, quando si avuta la certezza che il boss fosse all’interno di un immobile di Rosarno (Reggio Calabria). Insomma, il “ballerino” preferiva esibirsi nella piazza di casa dove si riteneva al sicuro. Assieme a Pesce sono state arrestate anche altre due persone con l’accusa di favoreggiamento.
Sei anni durata la latitanza di Marcello Pesce, classe 1964, ultimo elemento di vertice del clan ancora primula rossa. Inquirenti e investigatori lo cercavano dal 26 aprile 2010, quando riuscito a sfuggire alla cattura nell’operazione All Inside. Al termine del processo di primo grado, Marcello Pesce venne condannato a 15 anni e 6 mesi di reclusione poich riconosciuto colpevole dei delitti di associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. Verdetto riformato in appello con una nuova condanna: 16 anni e 2 mesi di reclusione.
Figlio di Rocco Pesce, nonch nipote del defunto boss Giuseppe Pesce, era inserito nell’elenco dei latitanti pi pericolosi del ministero dell’Interno. Marcello Pesce annovera precedenti di polizia per associazione mafiosa, omicidio doloso e droga. Il suo nome compare negli atti giudiziari degli anni Novanta, quando alcuni rapporti di polizia evidenziavano la sua sospetta appartenenza alla criminalit organizzata di Rosarno capeggiata allora dal boss Giuseppe Pesce, classe 1923, poi deceduto.
Nel 2015, in considerazione dei possibili appoggi di cui poteva giovarsi in territorio estero, le ricerche sono state estese anche in ambito comunitario, attraverso l’emissione del mandato di arresto europeo da parte della Corte di appello di Reggio Calabria.
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