PIACENZA – Si racconta dal villaggio di Diembering, a sud del Senegal, nel giorno 920 della sua avventura attorno al pianeta. Lo ha raggiunto da Dakar in barca, perché passando dalle vie di terra avrebbe dovuto passare un’altra frontiera, col Gambia, e le pagine per i timbri sul passaporto stanno finendo. È il giro del mondo in mille giorni di Claudio Pelizzeni, 35enne di Piacenza che quasi tre anni fa ha deciso di lasciare un lavoro da dirigente e inseguire il sogno di una vita. Che sarà completato a febbraio, quando tornerà in Emilia dopo avere visitato l’intero globo.
“Ero vicedirettore di una banca, ma non mi sentivo felice, non avrei mai potuto esserlo sacrificando la mia vita per un lavoro che non mi dava nulla se non la sicurezza economica – ricorda Pelizzeni -. Per rincorrere la felicità dovevo tornare al mio sogno più recondito, fare il giro del mondo“. Tanti ne hanno fantasticato, lui lo ha fatto, e il 4 maggio 2014 è salito su un bus da Piacenza a Varsavia, prima tappa di un viaggio che ancora oggi continua, 920 giorni e 39 paesi dopo. Unica regola, ispirata da un libro di Tiziano Terzani, compiere l’impresa senza prendere mai un aereo, “perché il senso del viaggio è vivere le frontiere, vedere cambiare le culture e le persone sotto i miei occhi”. Con un compagno di ventura scomodo, peraltro, il diabete. “Non volevo parlarne, ma il mio medico mi ha convinto che la mia testimonianza sarebbe stata utile a chi convive male con la malattia, c’è chi ha paura anche a mangiare una pizza fuori casa e invece puoi fare il giro del mondo – spiega Pelizzeni -. Nel percorso il diabete non è stato un ostacolo, anzi, l’attività costante e l’aria aperta mi hanno migliorato la salute”.
A 32 anni la decisione di cambiare vita, ma per realizzare un sogno servono basi economiche. E Claudio aveva un piano chiaro: “Ho venduto l’auto, preso la liquidazione, preparato un piano spese: avevo preventivato 15 euro al giorno, che nel 2014 erano 19 dollari. Il crollo dell’euro mi ha fatto sforare di un po’, da impiegato in banca dovevo prevederlo magari, ma al ritorno avrò comunque speso meno di 21mila euro in tutto”. Nel libro di Jules Verne, erano 20mila le sterline messe sul piatto del Reform Club da Phileas Fogg quando scommise di poter girare il mondo in 80 giorni. Anche se nel caso dell’avventuriero emiliano, fretta non ce n’era.
Qualche lavoro per arrotondare, la produzione di video per un programma di Licia Colò; per dormire couchsurfing, un divano in casa dei fan che lo seguono giorno per giorno le sue vicende sul blog TripTherapy (che al ritorno diventerà un libro, da completare in Marocco, ultima tappa), al limite ostelli. Poi trasporti su navi cargo, come quella che l’ha portato dall’Australia al Canada in 26 giorni; bus scalcagnati o affollatissime barche in Asia, “dove su mille passeggeri ero l’unico occidentale”; tram nepalesi con capre sotto il sedile e galline sulle gambe; 2500 km di autostop in Patagonia. E la Transiberiana, “una delusione, nessuno parlava inglese e non riuscivi a entrare nella loro cultura”.
A deluderlo anche la Costa Rica, “natura bellissima ma in un luna park per turisti, dove la gente del posto a forza di essere depredata e sfruttata dagli occidentali ora li considera tutti ostili – racconta -. Porto invece nel cuore i nepalesi, sono rimasto tre mesi in un orfanotrofio in un villaggio sperduto sull’Himalaya e posso dire di avere lì 18 fratellini”. Poi ci sono i pericoli, inevitabili quando si batte ogni punto del pianeta. “In Brasile dovevo girare con mille occhi aperti, c’è un grande problema di criminalità violenta legata alla droga e alla povertà – dice -. Giravo con una ragazza brasiliana, siamo stati anche nelle favelas e paradossalmente è il posto più sicuro se sei con uno del posto, ma le strade sono molto pericolose”.
Il viaggio di Pelizzeni terminerà l’11 febbraio 2017, millesimo giorno dalla partenza. Quella la data prevista per il rientro a Piacenza, quella
la data in cui si dovrà porre la fatidica domanda: e ora? “Starò in Italia per qualche mese, ma sarebbe difficile tornare a un impiego ‘normale’, vorrei lavorare all’aperto, a contatto con le persone, nel campo umanitario – confessa -. Se il libro andrà bene sarà più facile, ma ho l’umiltà di dire che il mio sogno l’ho realizzato, e se dovrò tornare a un lavoro regolare lo farò a testa alta”.