L’Islanda è la meta cool del momento: bellissima, sicura (almeno è considerata tale), ancora poco battuta. Ma già il Governo pensa a contingentare i turisti in arrivo al piccolo aeroporto di Rejkavik, che – anche per la popolarità acquisita all’Europeo di calcio – sono destinati ad aumentare nei mesi a venire. Una delle sorprese per chi scopre l’isola dei ghiacci, è indubbiamente la cucina: semplice, immediata e che si basa quasi esclusivamente sui prodotti del territorio, e risulta tra la più genuine al mondo: non è luogo comune né frase da depliant turistico: bastano 24 ore sull’isola dei ghiacci, per rendersi conto che il pesce di mare e di acqua dolce nuota in bacini immacolati e il bestiame pascola libero nei campi, mangia bene e respira meglio.
Baejarins beztu pylsur
Hot-dog all’islandese
Come ci si nutre in Islanda? Sicuramente poco al ristorante come lo intendiamo noi: non è scelta economica per loro e soprattutto per chi arriva dall’Europa, visto che il cambio euro-corona mette in difficoltà. Meglio sedersi in un pub con cucina o una tavola calda mentre nella bella stagione (quella dove il sole non tramonta mai) si fa la fila – ordinatamente – ai chioschi di hot dog che hanno grande fama in tutti i Paesi del Nord. Nel centro di Reykjavik esiste un posto quale Baejarie Beztu Pylsur (tradotto: gli hot dog più buoni del mondo) che viene citato come ottimo dalle guide internazionali e dalle riviste specializzate. Oltre agli hot dog – quasi esclusivamente di carne d’agnello – va assaggiato l’hardfiskur, panino a base di strisce di eglefino (pesce nordico simile al merluzzo) essiccato e burroso.
Lo squalo, per palati coraggiosi
Parliamo di pesce e di crostacei che hanno in Hofn una sorta di capitale dove viene organizzato persino un festival annuale. Sono buonissimi: i cuochi tradizionali sono maestri nella zuppa di aragosta il cui valore qui (economico e culinario) è simile ai nostri scampi. Poi nei menu si trovano l’halibut (simile alla sogliola adriatica, ma più saporito, adorato per esempio da Gordon Ramsay), il baccalà, i gamberetti, i molluschi e ancora la balena, il cui sapore ricorda più una bistecca che il pesce. Dall’acqua dolce arrivano il pesce gatto, la trota e soprattutto un salmone di rara bontà, quasi sempre servito con l’aneto. Le cotture sono basilari, ma va fortissimo anche il crudo. Gli chef più bravi – quasi tutti passano per Copenhagen, capitale della Nordic Cuisine – puntano su presentazioni moderne e salse di accompagnamento che ‘raffinano’ quelle più classiche. Caso a parte lo squalo che entra in preparazioni antiche quale l’hakari, dove la carne viene frollata sino alla putrefazione e poi essiccata. Non è per i nostri palati ma un assaggio ha senso.
L’azzardo dei piatti vichinghi
Sul fronte carnivoro, l’agnello è il padrone della tavola: come detto, pascola allo stato brado: questo lo rende eccezionale al consumo ma anche il pericolo numero uno per gli automobilisti. Alla griglia o in cotture veloci in padella, magari con una spruzzata di erbe locali, ha una tenerezza irraggiungibile dai ‘fratellini’ nel resto d’Europa. Per chi lo ama, diventa una piccola droga da gustare in ogni locale. Nei menu figurano anche piatti a base di carne di renna e di Puffin: piccolo volatile dal gusto molto intenso. Non sentitevi criminali: ce ne sono talmente tanti che il Governo invita a consumarli. Invece, a meno di essere coraggiosi, non consigliamo l’assaggio dei piatti tramandati dalla cucina vichinga: la torta di testicoli di montone (hrutspungur), la testa di pecora bollita o in salamoia (svid) e lo slatur che è il miscuglio di frattaglie di pecora, messe in un budello e poi bollite…Vero peraltro che per i gourmet di molti Paesi mangiare lumache viene visto come un piccolo delirio culinario.
I dolci sono buoni, sostanzialmente giocati sulle diverse consistenze e temperature delle creme. Uno lo troverete ovunque: lo Skyr che ricorda lo yogurt, ma è più simile al formaggio per la lavorazione. Quello più buono viene preparato da poche fattorie a conduzione familiare, iniziando la sera e trovandoselo per colazione: cremoso e poco calorico, diventa delizioso aggiungendo un po’di zucchero e panna. Altri dolci tipici sono le crepes (aromatizzate alla cannella, ottime) e l’Astarpungur palline di pasta fritta, molto simili alle nostre ciambelle.
Il vino (quasi tutto italiano o francese) è praticamente un bond. Tanto è vero che l’Islanda ha il consumo procapite più alto al mondo di Coca Cola e una grande passione per la birra. Quelle locali più note sono Thule, Viking ed Egils, ma assaggiate anche quelle artigianali. Visto l’ambiente, l’acqua potabile – anche qui sembra di essere banali ma è la verità – è buona quanto quella in bottiglia. Se cercate qualcosa di più “forte”, chiedete del Brennivin: bevanda nazionale per eccellenza, è un liquore aromatizzato al cumino, ottenuto distillando le patate. E poi tutti a battere le mani (anche dentro i locali), ricordando la Gesyer Sound dei tifosi all’Europeo.