Alla squadra mobile di Palermo, qualcuno li ha già soprannominati “don Masino” e “Totuccio”. Un capomafia e il suo factotum in fuga, braccati dai loro complici, che decidono di saltare il fosso e parlare. Come Masino Buscetta e Totuccio Contorno. Adesso, anche la mafia nigeriana deve fare i conti con due pentiti di rango. E questa notte, la squadra mobile di Palermo ha fatto scattare 13 fermi, disposti dal procuratore capo Francesco Lo Voi e dell’aggiunto Salvatore De Luca. Le parole dei due pentiti hanno aperto uno squarcio nella confraternita degli “Eiye”: c’erano anche loro fra i vicoli del popolare mercato di Ballarò, non solo i “Black Axe”, già colpiti tre anni fa con un altro blitz della polizia. Sette sono stati arrestati a Palermo, due a Catania, gli altri avevano lasciato da qualche tempo la Sicilia, due sono stati fermati a Castelvolturno, uno a Treviso, uno a Vicenza. Tutti sono accusati di associazione mafiosa.
La decimazione dei Black Axe aveva portato all’espansione dei rivali, già ben radicati al Cara di Mineo, dove stanotte sono stati fatti altri arresti. Mentre c’è il sospetto di una terza presenza a Palermo, quella dei “Vickings”. “Gruppi che sono come le diverse mafie italiane: Cosa nostra, ndrangheta, camorra”, spiega un esperto. Tutti impegnati in affari di droga e tratta delle donne, costrette alla prostituzione. Ma una di loro si è ribellata, i poliziotti della Mobile diretta da Rodolfo Ruperti l’hanno liberata dalla schiavitù di una maman e lei ha svelato che anche a Palermo c’erano gli “Eiye”. Così è iniziata questa storia, con un gesto di coraggio e libertà.
La rete
L’indagine, condotta dai sostituti Gaspare Spedale e Giulia Beux, svela che gli Eiye sono ben radicati in diverse città, da Catania a Torino, passando per Cagliari e Padova. In questi mesi, alla squadra mobile di Palermo sono arrivati magistrati da tutta Italia per interrogare i primi pentiti della confraternita che nel dialetto Yoruba è chiamata “Uccello”. I clan sparsi per il mondo sono soprannominati “nest”, ovvero nidi. E si entra tramite dei rituali di affiliazione, parecchio movimentati.
Il rito
Uno di questi riti è stato registrato da una delle microspie piazzate dalla polizia a Ballarò. Una conferma straordinaria al racconto dei pentiti. Il nuovo adepto viene spogliato e spinto per terra, preso a calci e pugni, poi costretto a bere un intruglio del suo sangue e delle sue lacrime.
“Avvicinano del peperoncino sulla testa e la faccia. Intanto, feriscono il corpo con un rasoio. Il peperoncino fa lacrimare l’occhio, loro raccolgono la lacrima che viene mescolata con il sangue delle ferite. Lacrime e sangue vengono mescolate con alcol, riso e tapioca, viene chiesto di giurare fedeltà e totale silenzio sulle pratiche dell’organizzazione”. Il nuovo affiliato deve pagare una somma al capo e diventa schiavo di tutti i componenti del clan, perché è l’ultimo arrivato. “Poi, nel gruppo, sali di grado in base a quanti reati commetti”, hanno spiegato i pentiti.