La ragazza lasciò sul tetto uno scritto e un lungo messaggio vocale nel telefonino dove lanciava pesanti accuse ai genitori, in modo particolare al padre, per averla maltrattata e vessata fino a portarla al gesto estremo. La Procura della Repubblica ha constatato il disagio psicologico della giovane, – secondo le accuse – acuito dalle umiliazioni, dalle privazioni e dall’anaffettività della famiglia, favorendo l’isolamento dalle coetanee. Fino all’ultima provocazione, la sfida fatta dal padre alla figlia di mettere davvero in atto i propositi di suicidio. I genitori sono a processo per maltrattamenti fino alla morte e, solo il padre, per istigazione al suicidio.
In circa tre ore di requisitoria il pm Sara Posa, dopo avere inizialmente richiamato la giurisprudenza sul concetto che i maltrattamenti non sono solo intesi come violenza fisica, ma anche come abusi psicologici, ha analizzato, secondo quanto emerso dal dibattimento, i rapporti della coppia nei confronti della figlia, definendoli un “comportamento genitoriale disfunzionale”. Rapporti sfociati in una vera e propria ‘sfida-guerra’, in particolare con il padre, quando Rosita, per l’accusa, ha cercato di liberarsi della cappa di umiliazioni, isolamento e privazioni a cui era sottoposta. Sempre secondo la pm, i genitori di Rosita erano consapevoli del ruolo “predisponente e cogente” che il loro comportamento aveva nel creare disagi e sofferenza alla figlia. Anche la volontà del suicidio, ha precisato l’accusa, era nota ai genitori, ma questo non avrebbe modificato il loro atteggiamento vessatorio. La requisitoria della pubblica accusa ha avuto anche una parte a porte chiuse quando è stata fatta ascoltare alla corte d’assise uno stralcio del lungo messaggio vocale lasciato da Rosita.