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Speciale Donkey Kong, le origini della prima star Nintendo

Mag 3, 2018

In occasione dell’uscita di Donkey Kong Country: Tropical Freeze su Nintendo Switch, eccovi una rassegna dedicata allo scimmione Nintendo per eccellenza e alla sua chiassosa famiglia di primati, dal suo lontano debutto ai giorni nostri.

Una carriera bella lunga quella di Donkey Kong, 37 anni di storia videoludica in cui ha vestito sia i panni dell’eroe che quelli del cattivo, collaborando a più riprese con un certo idraulico oppure sfidandolo apertamente lungo il corso delle generazioni, senza dimenticare le sue imprese da solista e le sue partecipazioni agli infiniti spin-off ambientati nel Regno dei Funghi. Un sacco di gioconi, alcuni che hanno definito un’era, diversi esperimenti, qualche passo falso e un’insaziabile amore per le banane; Nintendo oggi molto probabilmente non sarebbe la stessa senza di lui.

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Ogni volta che salta fuori il nome della grande N è impossibile non associarlo d’istinto al buon Mario, eppure dovete sapere che l’idraulico in rosso non fu la prima mascotte della casa di Kyoto a entrare nell’immaginario collettivo. Correva infatti il 1981 (ben prima della commercializzazione del NES e successivamente di Super Mario Bros.) quando nelle sale giochi di tutto il mondo usciva Donkey Kong; alla testa del progetto, un giovane Shigeru Miyamoto cercava di riportare in auge il nome della compagnia dopo il fallimentare approccio al genere degli shooter con Radar Scope.

Il titolo doveva originariamente ospitare personaggi dal franchise di Popeye (il nostro Braccio di Ferro), ma Nintendo non riuscì ad ottenere la licenza e dovette arrangiarsi con altro (per fortuna ci sovviene). Il nome scelto e l’idea alla base di Donkey Kong attirarono però le ire della Universal, che denunciò la casa di Kyoto per aver infranto la legge sul diritto d’autore appropriandosi del suo King Kong; di nuovo, tutto si risolse per il meglio in favore della software house nipponica.

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Il giocatore comandava Mario, all’epoca ancora Jumpman il carpentiere, e doveva soccorrere Pauline, la “terza” principessa del Regno dei Funghi, tornata sulla cresta dell’onda solo di recente grazie alla sua apparizione in Super Mario Odyssey, ma il vero protagonista era Donkey Kong, che troneggiava in tutta la sua pixellosa stazza in cima allo schermo. Il titolo riscosse un successo enorme, piazzando sul mercato migliaia di cabinati e ricevendo nel corso degli anni dozzine di conversioni per altrettante piattaforme (non solo targate Nintendo).

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Generò inoltre due sequel: Donkey Kong Jr., con protagonista il figlio perduto di Donkey Kong (e anche una delle rarissime occasioni in cui Mario interpreta il ruolo del villain), e Donkey Kong 3, tutta un’altra bestia con un eroe nuovo di zecca: Stanley lo sterminatore d’insetti, pure lui scomparso chissà dove nel mucchio di icone “di serie B” della casa di Kyoto. Questa fu l’ultima avventura del primate in sala giochi, se escludiamo una breve parentesi nella seconda metà degli anni 2000 con Banana Fever e Banana Kingdom, sequel di Jungle Beat (di cui parleremo a breve), sviluppati da Capcom e pubblicati esclusivamente nel Sol Levante.

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Con l’esordio del NES e l’abbandono dei cabinati, Donkey Kong si prese una piccola pausa, limitandosi a riproporre i suoi gloriosi fasti sulla neonata console Nintendo (tolto un discutibile Donkey Kong Jr. Math al day one). È con l’avvento dello SNES e l’uscita di Donkey Kong Country che la musica cambiò radicalmente: il capolavoro Rare ridefinì completamente i canoni dello scimmione (che conserva tuttora dal 1994) con un platform impeccabile, tanto nell’esecuzione quanto nella presentazione, spingendo al limite le capacità dell’hardware 16-bit con uno sperimentale rendering 3D. Il titolo divenne rapidamente una delle produzioni di maggior successo della console e promosse Rare tra i partner più prolifici e virtuosi della casa di Kyoto (almeno fino alla sua acquisizione da parte di Microsoft qualche decennio dopo).

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I due sequel, Donkey Kong Country 2: Diddy’s Kong Quest e Donkey Kong Country 3: Dixie Kong’s Double Trouble!, rincararono la dose, espandendo e raffinando la già mirabile formula di gioco dell’originale. Il successo della trilogia dei Country fu tale da riuscire a mantenere a galla lo SNES nonostante l’avvento delle rivali PS1 e Saturn sul mercato, più potenti e allettanti dell’ormai vetusta piattaforma Nintendo, e persino del Nintendo 64, in circolazione già da alcuni mesi quando uscì il terzo capitolo.

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Qui inoltre facciamo la conoscenza dei principali membri della famiglia Kong, personaggi piuttosto ricorrenti nel corso degli anni: Diddy Kong, nipote di Donkey nonché sua imperitura spalla, Dixie Kong, findanzata di Diddy, e Cranky Kong, nonno di Donkey e ufficialmente riconosciuto come il “primo Donkey Kong” che seminava il panico all’interno dei cabinati.

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A seguire i tre Donkey Kong Country sono stati prima convertiti per il piccolo Game Boy (in versione ristretta sotto il nome Donkey Kong Land) e tempo dopo sul più prestante Game Boy Advance (non abbastanza da riprodurre l’esperienza vissuta su Super Nintendo, ma in mancanza di alternative…). A dire il vero esiste un Donkey Kong Country pure per Game Boy Color, estremamente fedele all’originale (un’impresa, considerato il modesto hardware a disposizione), tuttavia lo schermo di dimensioni ridotte lo rende anche molto più difficile.

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Il passaggio alle tre dimensioni purtroppo non fu particolarmente felice per Donkey Kong, complice la prematura dipartita di Rare, all’epoca volto e anima del brand, dai lidi della grande N. Dopo un validissimo Diddy Kong Racing, in grado di sfidare ad armi pari sua maestà Mario Kart direttamente in casa, e un Donkey Kong 64 forse un po’ troppo simile a un certo Banjo-Kazooie (sempre di Rare, e si vede), Microsoft acquisì la software house britannica, che abbandonò il peloso beniamino al suo destino (sono ancora numerosi i fan che rimpiangono quel Donkey Kong Racing, annunciato all’E3 e poi tristemente cancellato).

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Seguirono anni bui, con un Donkey Kong privato della luce dei riflettori e relegato a ruoli marginali, tra titoli minori per tappare buchi tra un’IP di punta (non più la sua, a quanto pare) e l’altra, strani esperimenti, lontani dalla formula tradizionale, e bizzare periferiche. Su GameCube Donkey Kong divenne sinonimo di DK Bongos, le plasticose (e indistruttibili) bonghette a forma di barile studiate per sostituire il fido pad nelle produzioni dedicate allo scimmione. Tre tasti, bongo sinistro, bongo destro e l’immancabile Start, più un sensore per il rilevamento del battito delle mani; poca roba, non a caso l’opera principe che li sfruttò fu Donkey Konga, un rhythm game senza infamia e senza lode, con una scaletta un po’ “fuori luogo” (tanto pop e poco Nintendo, che avrebbe potuto tranquillamente far esondare il disco di gioco a suon di colonne sonore), ma tutto sommato spassoso grazie al curioso sistema di controllo. Il suo discreto successo era stato previsto in quel Kyoto, visto che a distanza di neanche un anno uscì il secondo capitolo, Donkey Konga 2, e nel solo Giappone addirittura un terzo.

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Un accessorio senza futuro? Non secondo Yoshiaki Koizumi (Majora’s Mask, Sunshine, Galaxy, Odyssey… dice niente?), che con Donkey Kong Jungle Beat trovò una soluzione intelligente per far rullare quei bonghi, sfornando uno dei migliori titoli per la piattaforma (almeno secondo il sottoscritto). Tamburellare per muoversi e scaricare pugni? Battere le mani per afferare oggetti e stordire i nemici? Un gioco così sulla carta non funziona, la pratica dovrebbe solo confermarlo, e invece… Jungle Beat è un gioiello, breve ma intenso, galvanizzante, se si ha voglia di apprendere i rudimenti e carpirne la filosofia. Lo si può raccattare anche su Wii, adattato ai Wii Remote per la collana New Play Control!, sebbene non renda allo stesso modo.

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Un altro spin-off avrebbe dovuto adoperare i DK Bongos, ma le vendite poco propizie di GameCube obbligarono il team di sviluppo a traghettare tutto sul suo successore. Con una buona direzione, Donkey Kong Barrel Blast poteva diventare un buon sostituto per Diddy Kong Racing, tuttavia si rivelò alquanto mediocre, complice un sistema di controllo sfiancante… Il Wii è retrocompatibile col Cubo, perché dunque non consentire ai giocatori di collegare i bonghi alla console come progettato in origine, invece di cedere il posto ai claudicanti sensori di movimento? Mistero.

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Nel frattempo, in ambito portatile il brand stava vivendo una seconda giovinezza grazie a Mario vs. Donkey Kong, che riaccendeva l’antica rivalità tra l’idraulico e il primate in un azzeccatissimo puzzle-platform pregno di rimandi agli albori arcade della serie. Uno spin-off piuttosto fecondo e in continua evoluzione, che prosegue tutt’oggi dopo essere approdato prima su GBA e in seguito su DS, 3DS e Wii U (Switch molto probabilmente sarà il prossimo). Sempre su GBA, DK King of Swing proponeva un’interessante prospettiva del platform scimmiesco, un po’ legnosa, con interi livelli di “pioli” da scalare in stile Clu Clu Land (non a caso Bubbles figura tra i personaggi sbloccabili), ma ricca di piacevoli citazioni. Paon affilò non poco la formula qualche anno dopo su DS, con il sequel Donkey Kong: Jungle Climber.

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Vero, il trascorso decennio si è rivelato un fiasco per la carriera di Donkey Kong, ma non si può dire che non si sia mai fatto vivo. Super Smash Bros., Mario Kart, Mario Tennis, Mario Golf, Mario Party, Mario Football, Mario Baseball, Mario Rubamazzetto… Lo scimmione è ormai una guest star fissa dei festivi sportivi e non del Regno dei Funghi, dove svolge solitamente il ruolo di peso massimo assieme all’immancabile re dei Koopa. I meno informati lo avranno sicuramente scambiato per un “personaggio di Mario” senza troppa grinta, e così effettivamente è stato, fino al 2010…

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E3: Nintendo sorprende il mondo annunciando sul palcoscenico di Los Angeles il ritorno in grande stile della saga con Donkey Kong Country Returns per Wii, un platform 2D dal sapore nostalgico studiato per rimettere in carreggiata la famiglia Kong e allietare i suoi fan di vecchia data. Alla regia Retro Studios, reduci dalla fantastica trilogia di Metroid Prime (e qui ricordo le lamentele “Eh, ma non è Prime 4”), colonna sonora per mano di David Wise (storico compositore della trilogia dei Country) con il supporto di Kenji Yamamoto (Metroid); cosa può andare storto?

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Il gioco uscì alcuni mesi dopo, superando ogni aspettativa e riscuotendo un enorme successo commerciale, tanto da convincere la casa di Kyoto a finanziare un porting per 3DS e addirittura un sequel per Wii U, Donkey Kong Country: Tropical Freeze, che affidò nuovamente a Retro Studios (“Dov’è Prime 4!?”). Lo stesso Tropical Freeze che tra un paio di rotazioni terrestri approderà nei negozi in formato Nintendo Switch, un titolo eccellente che espande e perfeziona la formula dell’originale, incentivando i meno esperti con il genere grazie all’introduzione di Funky Kong e della sua “funky mode” semplificata.

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Unico neo la decisione poco accorta da parte della software house nipponica di pubblicare un prodotto simile a prezzo pieno. Certo, i possessori di Wii U si contano sulle dita di una mano, quindi per molti Tropical Freeze sarà a tutti gli effetti un “gioco nuovo”, ma da possessore dell’originale avrei volentieri bissato l’acquisto in presenza di un esborso meno consistente, e non credo di essere l’unico. Poco male; se ve lo siete lasciato sfuggire quattro anni fa, non esitate: parliamo di uno dei migliori platform degli ultimi anni. E ora quale futuro avrà in serbo Nintendo per la sua risorta mascotte? Forse lo scopriremo già a partire da questo E3.

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