Il sogno di portare l’umanità su#Marte è certamente uno degli obiettivi più ambiziosi del nostro secolo, ed è ormai chiaro che #Elon Musk abbia preso la cosa molto seriamente. A tal proposito, infatti, sostiene che prima o poi dovremo decidere se rimanere sul nostro pianeta natio, e affrontare un’eventuale estinzione (totale o meno), oppure trasformarci in quella che lui chiama una “specie multi-planetaria”.
Ha ribadito questa convinzione il 27 settembre, a meno di un mese dall’incidente del Falcon 9, e solo pochi giorni dopo il test del nuovo motore Raptor, quando ha preso parte all’International Astronautical Congress a Guadalajara (Messico). In quest’occasione, l’imprenditore ha esposto il suo progetto per la creazione di un insediamento permanente sul pianeta rosso, sollevando numerosi dubbi sulla fattibilità di una simile impresa, soprattutto (ma non solo) in ragione delle strette tempistiche che ha, per ora, solo delineato.
Timeline e cifre
L’agenda della compagnia per i prossimi anni è ricca di potenziali appuntamenti con la storia. Già nel 2018 è previsto, salvo inconvenienti, il primo lancio verso Marte della Red Dragon. Solo 5 anni più tardi, tra il 2023 e il 2024, dovrebbero invece cominciare i primi lanci con equipaggio. Questo dovrà contare al massimo un paio di centinaia di individui per missione (con un costo iniziale di circa 500.000 dollari a “biglietto”), nella speranza di dare vita ad una colonia di un milione di persone nel giro di qualche decennio (dai 40 ai 100 anni, con lanci ogni 26 mesi, in occasione delle congiunzioni Marte-Terra favorevoli).
Musk ha inoltre espresso la volontà di intraprendere in prima persona il viaggio, non prima però di aver predisposto un piano B per la compagnia in caso di fallimento. Coerentemente ha sostenuto di voler proseguire a finanziare con i propri fondi parte di questo colossale progetto, ma d’altro canto ha ammesso la necessità di appoggi economici esterni, auspicabilmente sia privati che pubblici, al fine di colmare il gap da 10 miliardi di dollari che, secondo le sue stime, separerebbe il progetto dalla realizzazione concreta della prima fase.
Come arrivarci
Il mezzo di trasporto in via di progettazione è stato presentato con il nome di Interplanetary Transport System. Sarà alimentato dai Raptor testati di recente e, se realizzato, diventerà la più grande nave spaziale mai creata, superando di 3,5 volte in termini di potenza il Saturn V, attuale detentore del record. In favore delle proprie tesi, Musk scommette sulla riutilizzabilità dei propri moduli. Tralasciando gli incidenti di percorso, la SpaceX è fino a oggi una delle uniche due compagnie (insieme alla Blue Origin) ad aver effettuato con successo diversi atterraggi verticali. Questo fattore è fondamentale non solo per la possibilità di reimpiegare i razzi, ma anche per ridurre drasticamente i costi medi per ciascuna missione.
Tutto bene se non fosse per il fatto che, fino ad ora, nessuno dei Falcon 9 rientrati dai test è stato utilizzato per una seconda missione. È comunque attualmente oggetto di studio la possibilità di fare rifornimento direttamente nello spazio e, un domani, di ricavare da Marte stesso le risorse necessarie.
Marte o non Marte?
Detto ciò, rimangono innumerevoli i punti ancora poco chiari. Si pensi, per esempio, alla difficoltà di affrontare un viaggio di milioni di chilometri in uno spazio angusto e in condizioni di convivenza forzata, potenzialmente esposti a radiazioni per decine di giorni (fino a 150). Volendosi spingere più in là, resta aperta la discussione su come insediarsi in maniera stabile su un pianeta tendenzialmente inospitale e ostile come il nostro vicino planetario (l’eventuale presenza di acqua non renderebbe le cose meno complicate). Ma d’altro canto, per Musk la pulsione verso le stelle è così forte (e vincolante stando a quanto detto in precedenza) da spingere già adesso la sua immaginazione oltre il pianeta rosso, verso Europa e fino ai confini del sistema solare.