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Censis, la ripresa corre ma lascia indietro l’ex ceto medio e il Mezzogiorno

Dic 1, 2017

ROMA – L’Italia si risolleva: corre la produzione industriale, con performance che superano anche quella tedesca. E così nel Rapporto Censis 2017 tornano finalmente i consumi, cresciuti del 4% negli ultimi tre anni, e soprattutto il piacere di consumare: si spende di nuovo in cultura, parrucchieri, prodotti cosmetici e rattamenti di bellezza, pacchetti vacanze (il 10,2% in più nel biennio 2014-2016. “Torna il primato del benessere soggettivo”: una svolta positiva, ma non del tutto. Si accentua sempre di più tra chi ha compiuto finalmente il balzo in avanti, liberandosi dalle strettoie della crisi, e una maggioranza rabbiosa che è rimasta indietro. “L’Italia dei rancori”, la chiama il Censis: “Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore”.

E’ il primo rapporto senza Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, ideatore e relatore del Rapporto Annuale per 50 anni. Questa cinquantunesima edizione segna l’esordio di Giorgio De Rita, figlio di Giuseppe, segretario generale, che nel suo intervento ha sottolineato l’incapacità del Paese di “immaginare il futuro”, un rischio e un limite, che ci riporta a un futuro appiccicato al presente, in cui resistono pochi miti vecchi, tra i quali svetta quello del posto fisso, e svettano pochi miti nuovi, i social networ, che però non riescono a creare un nuovo progetto di società. Più che di fronte a un ciclo nuovo, dunque, siamo di fronte all’esaurirsi di un ciclo vecchio, in cui la rabbia sociale non si tramuta ancora in frattura che dà anche il via all’inizio di qualcosa di diverso.

Un Paese senza giovani. Il più forte squilibrio di questa ripresa ineguale, denuncia il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii, è il “degiovanimento” del Paese: “La riduzione del peso demografico dei giovani è una miccia accesa che sta per accendersi in futuro. Nel momento in cui si inverte quella che non ha più senso chiamare piramide demografica si crea un grave problema per il Paese. Oggi i Millennials tra i 18 e i 34 anni sono 11 milioni rispetto a 50 miloni di elettori, e quindi l’offerta politica non li guarda con sufficiente attenzione, si parla molto di più di pensioni che di disoccupazione giovanile.. Il problema dei giovani in Italia è che non contano perché sono pochi”.

Ascensore sociale sempre più fermo. Un dato preoccupante perché riguarda una parte enorme della popolazione italiana, che guarda con invidia un ascensore sociale irrimediabilmente rotto: l’87,3% degli appartenenti al cento popolare pensa che sia difficile risalire nella scala sociale, una posizione condivisa dall’87,3% del ceto medio e persino dal 71,4% del ceto benestante. Tutti invece pensano che sia estremamente facile scivolare in basso nella scala sociale, compreso il 62,1% dei più abbienti.

Record di immigrati con basso titolo di studio. E in quest’Italia sempre meno coesa, che si guarda in cagnesco, bloccata dalla paura di perdere quel poco o quel molto che ha, cresce un’immigrazione che si candida ogni giorno di più alla marginalizzazione. Nel nostro Paese arrivano gli immigrati più poveri e meno qualificati: a fronte di un dato medio degli extracomunitari con istruzione terziaria in Europa pari al 28,5% (ma con punte del 50,6% nel Regno Unito e del 58,5% in Irlanda), da noi ci si ferma al 14,7%. Nel 2016 su 52.056 nuovi permessi rilasciati dalla Ue a lavoratori qualificati, titolari di Carta blu e ricercatori, appena 1.288 erano per l’Italia, a fronte di 11.675 per i Paesi bassi.

Lavoro, scompaiono le figure intermedie. E siccome il lavoro in Italia si va sempre più “polarizzando”, rileva il Censis, tra professioni intellettuali e impieghi non qualificati, è sempre più difficile attrarre immigrati perché si assottigliano posizioni mediane come quelle di operai, artigiani e impiegati. In cinque anni operai e artigiani diminuiscono anzi dell’11%, a fronte di una crescita dell’11,4% delle professioni intellettuali ma anche dell’11,9% delle professioni non qualificate. Vince la gig economy: nell’ultimo anno l’incremento di occupazione più rilevante riguarda gli addetti allo spostamento e alla consegna delle merci, più 11,4%. Mentre si assottigliano in maniera preoccupante i professionisti: 10 punti persi in meno di dieci anni per gli under 40.

Crollo di iscritti ai sindacati confederali. La crisi del lavoro si traduce anche in una crisi dei sindacati tradizionali: tra il 2015 e il 2016 Cgil Cisl e Uil hanno subito una contrazione di 180 mila tessere. Su 11,8 milioni di iscritti alle tre sigle, 6,2 milioni sono costituiti da lavoratori attivi (+0,2%) e 5,2 milioni da pensionati (-3,9%). Secondo il Censis, si manifesta quindi “l’esigenza di una maggiore inclusione da parte dei soggetti di rappresentanza verso categorie e segmenti non tradizionalmente coperti dall’azione sindacale”.

Pochi laureati, sempre più in fuga verso l’estero. Siamo penultimi in Europa per numero di laureati, con il 26,2% della popolazione di 30-34 anni, una situazione aggravata dalla forte spinta verso l’estero, che assorbe una buona quota di giovani qualificati. Infatti nel 2016 i trasferimenti dei cittadini italiani sono stati 114.512, triplicati rispetto al 2010. Quasi il 50% dei laureati italiani si dice pronto a trasferirsi all’estero anche perché, calcola il Censis, la retribuzione mensile netta di un laureato a un anno dalla laurea si aggira intorno a 1344 euro corrisposti per una assunzione nei confini nazionali ma arriva a 2.200 euro all’estero.

E sempre meno giovani. Gli over 64 intanto hanno superato i 13,5 milioni, il 22,3% della popolazione, mentre le previsioni annunciano oltre 3 milioni di anziani in più già nel 2032, quando saranno il 28,2% della popolazione complessiva. Si è ridotto anche l’apporto delle donne straniere, prezioso negli ultimi anni: nel 2010 il numero di nascite per le extracomunitarie era in media di 2,43, ma nel 2016 è sceso a 1,97, mentre per le italiane è di 1,26 figli per donna.

Il Sud abbandonato. La polarizzazione non è solo tra chi gode dei benefici della ripresa, e chi è rimasto indietro, ma anche tra un Nord Italia e una capitale sempre più attrattivi e un Sud che offre sempre meno e che si sta letteralmente desertificando. Tra il 2012 e il 2017 nell’area romana gli abitanti del capoluogo sono aumentati del 9,9% e quelli dell’hinteland del 7,2%. A Milano l’incremento demografico è stato rispettivamente del 9% e del 4%, a Firenze del 7% e del 2,8%. Si spopolano invece le grandi città del Sud, a cominciare da Napoli, Palermo e Catania, dove affonda anche il Pil. Ma va male anche alle città intermedie come Torino, Genova e Bari.

Nel vuoto di aspirazioni resiste il mito del “posto fisso”. Attento da sempre all'”immaginario collettivo”, inteso come “l’insieme di valori e simboli in grado di plasmare le aspirazioni individuale e i percorsi esistenziali di ciascuno”, punto di partenza indispensabile per “definire un’agenda sociale condivisa”, il Censis trova che ormai i vecchi miti appaiano stinti, ma i nuovi siano privi di forza aggregatrice. Infatti per gli under 30 al primo posto ci sono i social network. Per la media degli italiani resiste invece un mito vecchissimo, davvero duro a morire nonostante i colpi bassi delle leggi Fornero e del Jobs Act: il posto fisso, al primo posto per il 38,5%. E a sopresa, il posto fisso si piazza al secondo posto anche per la fascia più giovani, anche se è quasi a pari merito con lo smartphone.

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