ROMA – «Benvenuti in Greenpeace». La prima volta che il nome dell’organizzazione ambientalista è stato pronunciato in pubblico è in occasione di un concerto promosso per raccogliere fondi da destinare per la prima azione in programma. E’ la sera del 16 ottobre 1970. Al Pacific Coloseum di Vancouver, in Canada, stanno per esibirsi Joni Mitchell, James Taylor e Phil Ochs. Sul palco sale Irwing Stone, un attivista che un anno prima aveva fondato il gruppo pacifista “Dont’t Make A Wave Commitee”. Con i soldi raccolti in quell’occasione, il 15 settembre del 1971 un gruppo di volontari parte da Vancouver a bordo del peschereccio Phyllis Cormack per cercare di fermare i test atomici sull’isola di Amchitka, in Alaska, una delle regioni più sismiche al mondo e dimora di specie in via d’estinzione. Il gruppo viene intercettato e fermato dalle autorità statunitensi, ma la sua azione scatena la copertura dei media e un’ampia protesta pubblica contro gli esperimenti. Nel corso dello stesso anno i test nucleari cessano e l’area viene dichiarata riserva degli uccelli. E’ così che inizia il lungo viaggio di Greenpeace.
DAI TESTI ATOMICI AL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Un viaggio partito con i primi attivisti e che dopo quarantacinque anni di intensa attività ha aggregato intorno a sé oltre tre milioni di sostenitori, 36 mila volontari in tutto il mondo, a cui si aggiungono migliaia di attivisti, cyberattivisti, ricercatori, lobbysti e un numero sempre crescente di alleati. In questi anni, quindi, la difesa dell’ambiente ed il pacifismo sono diventati un impegno per molte persone.
Le immagini di donne e uomini che sfidano le gigantesche navi baleniere o difendono con il proprio corpo i cuccioli di foca stimolano sempre più una coscienza ecologica mondiale. Una coscienza di tutela incondizionata dell’ambiente che trent’anni fa arriva anche in Italia. È il 1986, infatti, quando viene aperto un piccolo ufficio a Roma, non lontano dal Circo Massimo. David McTaggart, uno dei fondatori di Greenpeace International, partecipa alla nascita dell’ufficio, che considera una prima tappa per l’espansione nel Mediterraneo.
TRENT’ANNI DI BATTAGLIE IN ITALIA
Nei suoi primi trent’anni di vita Greenpeace Italia ha partecipato a tutte le grandi campagne dell’organizzazione: per le foreste, gli oceani, l’agricoltura sostenibile, le energie pulite, contro i cambiamenti climatici e l’inquinamento, per un futuro di pace.
«La maggiore sfida globale dei nostri tempi è la battaglia contro i cambiamenti climatici. L’Accordo di Parigi, che ci aspettiamo verrà firmato tra una settimana, è un bel passo in avanti per raggiungere l’obiettivo ambizioso di non superare un grado e mezzo di aumento della temperatura globale e avviare la transizione verso le rinnovabili al 100 per cento per tutti»
In migliaia in bicicletta per #IceRide, l’iniziativa finalizzata a salvare l’Artico
dice Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia. Del resto, tra gli effetti dei cambiamenti climatici rientra «l’acidificazione degli oceani, che assorbono troppa C02 che danneggia la vita marina».
In azione a Roma contro la pesca pirata
Attivisti in azioni in un campo di mais OGM a Pordenone
Attivisti in azioni in un campo di mais OGM a Pordenone
Attivisti in azione contro il proliferare delle trivlle in mare
Per questo, Greenpeace «chiede più aree marine protette, meno pesca illegale e collabora con altre organizzazioni per evitare che gli oceani diventino una immensa discarica per la plastica». Non solo. Tra le battaglie anche quella «per proteggere le foreste primarie, insieme a comunità e gruppi locali» o «per l’agricoltura sostenibile per sostenere – spiega Onufrio – chi coltiva la terra senza contribuire ai cambiamenti climatici. Stiamo lavorando anche per un futuro senza sostanze tossiche, dove le sostanze chimiche pericolose non saranno più prodotte, usate e rilasciate nell’ambiente». Ed anche se sono trascorsi quarantacinque anni dalla prima azione eclatante, «oggi Greenpeace continua a battersi contro le testate atomiche ed anche se i test sono rallentati grazie all’opposizione pubblica, diversi stati continuano a possedere, sviluppare e ammodernare le testate atomiche: serve un Trattato delle Nazioni Unite che le metta al bando».
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