MILANO – Sono passati otto lunghi anni da quel 15 settembre 2008, quando Lehman Brothers annunciò al mondo intero il proprio fallimento, la sua incapacità di far fronte alla crisi dei mutui subprime: con 639 miliardi di dollari in asset e 619 miliardi di debiti fu la più grande bancarotta della storia. Un crollo che lasciò senza lavoro nel giro di una notte 25mila persone. Poche parole che segnarono la fine di un’epoca iniziata negli anni ’80, quella dei “padroni del mondo”: i banchieri che ispirarono il “Falò delle vanità” di Tom Wolfe. Quel giorno, però, il mondo della finanza, quello dei soldi facili, fatti di carta e derivati cambiò per sempre.
La crisi scoppiata un anno prima si trasformò nella tempesta perfetta: dal crollo del mercato immobiliare al salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac, due banche americane specializzate in mutui. Dal tracollo di Bear Stearns, storica banca d’affari americana, alla chiusura di Lehman Brothers con l’intero sistema finanziario a un passo dal baratro.
Uno choc finanziario senza precedenti: solo a ottobre le Borse mondiali bruciarono 10mila miliardi di dollari. Una cifra che costrinse governi e le banche centrali a prendere misure estreme per evitare un crack globale: gli Usa avviarono piani miliardari anticrisi, mentre la Federal Reserve tagliò immediatamente a zero il costo del denaro. A distanza di otto anni il conto pagato dai contribuenti americani continua a crescere: era a quota 12.800 miliardi di dollari nel 2012, ma secondo uno studio di Better Markets lo scorso anno è arrivato a 20mila miliardi.
La finanza. Eppure per i mercati quella terribile crisi, che avviò la drammatica recessione da cui l’Eurozona fatica ancora a uscire, sembra lontana anni luce. Wall Street si è risollevata, il Dow Jones come l’S&P 500 e il Nasdaq hanno raggiunto nuovi record e gli strascichi del 2008 stanno lentamente scomparendo. Negli Stati Uniti il mercato del lavoro corre verso la piena occupazione, i salari sono in ripresa così come il valore degli immobili, ma regna ancora l’incertezza. Il crac di Lehman Brothers ha spinto i mercati a trovare nuove regole. Oggi la supervisione è più serrata, a livello internazionale sono stati presi accordi che dovrebbero contribuire a evitare che le banche corrano di nuovo pericoli simili o prendano rischi superiori al dovuto. Molto, tuttavia, deve ancora essere fatto, anche perché Barack Obama tra le prime riforme del suo mandato ha incassato la legge Dodd-Frank che mette dei limiti alla speculazione sui derivati, ma non arriva al punto da smembrare le mega-banche, né ripristina le muraglie cinesi tra i due mestieri del credito (risparmio e affari) come ai tempi del Glass-Steagall Act. E così in sette anni di ripresa americana, una quota sproporzionata della nuova ricchezza è andata a concentrarsi nelle mani dell’un per cento dei privilegiati.
L’economia reale. La crisi non allenta la morsa. Si è piuttosto spostata dalla finanza all’economia. E dagli Stati Uniti è arrivata fino all’Europa. In otto anni l’economia statunitense è scivolata in recessione e ne è uscita a fatica. Ora appare “moderata” (sono le parole della Fed), anche se il mercato del lavoro è più dinamico. Le luci non riescono a fugare tutti i dubbi sulla tenuta del sistema. La Fed ha prima innondato di liquidità i mercati, poi ha tenuto i tassi fermi a zero fino a dicembre dello scorso anno, quando ha alzato per la prima volta da anni il costo del denaro. Altre strette erano attese per il 2016, ma per il momento Janet Yellen ha preferito prendere tempo, preoccupato dal possibile contraccolpo sull’economica. Nel Vecchio continente la situazione è ancora più delicata. La ripresa risulta un miraggio: se la Germania è tornata a correre gli altri Paesi restano a guardare. L’Eurozona è avvolta dalla deflazione nonostante i tassi negativi e l’immissione sul mercato di oltre mille miliardi di euro da parte della Bce. La disoccupazione è una piaga che ferisce l’intero Vecchio continente. Dal crac Lehman sono passati otto anni, ma il segno lasciato resterà – probabilmente – indelebile.