• 24 Novembre 2024 8:08

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Ecologismo razionale e libero mercato. Una risposta

Ott 23, 2024

Come probabilmente prevedibile, il mio articolo di ieri ha ricevuto molte critiche da parte di chi ritiene che non sia possibile uscire dalla crisi ambientale, senza prima abbattere il capitalismo. Mi permetto qui di rispondere, esponendo il mio pensiero come farei fra amici.

 

                       
Gli anticapitalisti sono convinti dell’impatto negativo del libero mercato sulle possibilità di invertire la tendenza verso il disastro ecologico, sostenendo che il capitalismo, fondato su un modello di crescita perpetua e su una logica di massimizzazione dei profitti, spinga verso uno sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali. Nei fatti, il sistema capitalista incoraggia le imprese a esternalizzare i costi ambientali, ignorando le conseguenze a lungo termine delle loro attività e contribuendo a un degrado ecologico globale. Inoltre, è accaduto più volte che la concorrenza tra le imprese abbia spinto verso una corsa al ribasso in termini di regolamentazioni ambientali, poiché ogni impresa è motivata a ridurre i costi per mantenere il proprio vantaggio competitivo, a scapito del costo della sostenibilità che, se non pagato, rivela gli effetti molto più avanti nel tempo e quindi facilmente negabili al presente. Inoltre, dato l’enorme potere economico e politico che il libero mercato consente di accentrare nelle mani di soggetti a dimensione multinazionale, questi sono in grado di influenzare i governi per evitare normative stringenti, minando così le politiche ecologiche necessarie a salvaguardare il pianeta. L’idea di fondo è che l’incentivo al profitto, basato ovviamente sulla generazione illimitata di beni e servizi da rivendere e consumare, sia intrinsecamente in conflitto con la protezione ambientale.

Il punto non è che questi argomenti e queste critiche siano sbagliati; il punto è che sono incompleti, e proprio per questo non costituiscono affatto la prova che bisognerebbe uscire dal sistema capitalistico o del libero mercato, per poter procedere poi con efficacia alla salvaguardia e al ripristino ecologico del pianeta. Anzi: vi sono ragioni per pensare che, se pure potessimo magicamente abolire il libero mercato, gli effetti sarebbero peggiorativi, non migliorativi, come tenterò di argomentare fra poco. Se infatti è vero che un mercato senza regole è distruttivo per l’ambiente (e anche per l’uomo), dall’altro lato è altrettanto vero che un mercato senza regole non esiste e non è mai esistito, e le regole sono fatte più o meno a favore della collettività, a seconda della coesione e della capacità di espressione razionale che questa possiede.  Anziché vedere il libero mercato come una minaccia inevitabile, è più produttivo riconoscerne il potenziale di motore per la sostenibilità attraverso l’innovazione di prodotti, servizi e costumi, se correttamente orientato da incentivi economici e normative appropriate.

Un esempio interessante di come il mercato possa orientarsi verso la sostenibilità è rappresentato dal settore dei cosiddetti prodotti “bio”. Sebbene, almeno attualmente, la loro vendita si basi spesso su favole senza fondamento, essi hanno dimostrato che esiste la possibilità di un consumo orientato alla salvaguardia del pianeta, e che questo può essere in grado di determinare il successo di un’intera industria. Basterebbe solo che l’offerta per soddisfare questa enorme domanda in crescita fosse indirizzata verso parametri di obiettiva sostenibilità, e non standard dubbi o interamente farlocchi come quelli biodinamici. Invece di raccontare favole su agricoltori che accarezzano le piante nei campi, un prodotto della demonizzazione della ricerca scientifica in agricoltura, bisogna mostrare le viti e il riso Tea, la lotta biologica integrata e i successi dell’agricoltura scientifica moderna nell’abbattere drasticamente il consumo di energia, acqua, suolo e di molecole inquinanti di ogni sorta: alla domanda giustissima di salvaguardia dell’ambiente, bisogna dare risposte vere, senza frottole furbe.

 

                                   

L’industria delle energie rinnovabili offre un altro esempio illuminante. Negli ultimi decenni, numerose aziende, spinte dalla crescente domanda di energia pulita e sostenuta da politiche governative lungimiranti, hanno investito in soluzioni innovative come l’energia solare e eolica. Questi investimenti hanno permesso di abbassare drasticamente i costi di produzione delle energie rinnovabili, rendendole sempre più competitive con i combustibili fossili. Il mercato, attraverso il meccanismo della concorrenza, ha favorito l’innovazione tecnologica, rendendo accessibili fonti energetiche che in passato erano considerate troppo costose. Un esempio è la rapida diffusione dei pannelli solari domestici, che grazie a incentivi governativi e alla diminuzione dei costi di produzione sono diventati una scelta comune per molti cittadini, contribuendo alla riduzione della dipendenza dalle fonti fossili.

Allo stesso modo, l’energia eolica ha visto una crescita significativa, con progetti offshore che stanno trasformando il panorama energetico di molti paesi, come nel caso della Danimarca, che oggi produce quasi metà del proprio fabbisogno energetico attraverso l’eolico. In questo contesto, non è stato necessario eliminare il capitalismo per favorire la sostenibilità: al contrario, le dinamiche di mercato sono state utilizzate per guidare le imprese verso soluzioni più ecologiche. Certo, i materiali che ancora oggi si usano per costruire gli impianti di energia alternativa sono spesso inquinanti, la loro estrazione ha un impatto ambientale non trascurabile e il loro smaltimento presenta dei problemi: ad esempio, l’estrazione del litio per le batterie delle auto elettriche e per i sistemi di accumulo dell’energia solare ha un impatto significativo sull’ambiente, sia in termini di consumo d’acqua che di distruzione del suolo. Analogamente, la produzione di turbine eoliche richiede l’uso di materiali rari come il neodimio e il disprosio, utilizzati nei magneti permanenti delle turbine, che sono difficili da riciclare. Tuttavia, anche in questa direzione i progressi che si vedono sono notevolissimi, come lo sviluppo di batterie al sodio meno impattanti o l’uso crescente di materiali riciclati nelle pale eoliche, ed è grazie alla spinta del mercato e alla volontà di migliorare che tutto ciò è stato possibile. Inoltre, l’impatto ambientale complessivo di questi impianti e tecnologie è in costante diminuzione grazie all’innovazione tecnologica e al miglioramento dei processi produttivi. Questi risultati sono possibili perché non ci si è fatti bloccare dalla paura, ma si è deciso di affrontare i problemi con l’innovazione e la ricerca.

Dall’altra parte, esempi di economie non capitaliste mostrano come la pianificazione centralizzata possa generare effetti ambientali devastanti. L’Unione Sovietica rappresenta un caso emblematico. Il controllo statale su ogni settore economico e la mancanza di un meccanismo di mercato che regolasse le risorse naturali hanno portato a uno sfruttamento eccessivo e disastroso dell’ambiente. Il caso del Mar d’Aral, prosciugato a causa di politiche agricole aggressive e mal gestite, è solo uno dei tanti esempi in cui un sistema economico che non tiene conto dei costi ambientali reali può causare danni irreversibili, come la desertificazione e la perdita totale di biodiversità in quella regione. Anche in Cina, per decenni, la pianificazione economica orientata esclusivamente alla crescita ha generato livelli di inquinamento tali da compromettere gravemente la salute pubblica, causando problemi respiratori diffusi, contaminazione delle acque e distruzione di ecosistemi vitali. Solo con l’apertura al mercato e l’introduzione di incentivi economici per la riduzione delle emissioni e lo sviluppo di energie rinnovabili, il paese ha iniziato a migliorare la sua situazione ambientale. Grazie agli incentivi di mercato, la Cina ha attratto ingenti investimenti nelle energie rinnovabili, portando a una rapida espansione della capacità di energia solare ed eolica.

Ad esempio, il paese è diventato il principale produttore mondiale di pannelli solari e ha sviluppato massicci parchi eolici, sia onshore che offshore. Questi investimenti hanno permesso una significativa riduzione della dipendenza dai combustibili fossili e hanno contribuito a diminuire gradualmente l’inquinamento atmosferico nelle principali città. Inoltre, il mercato ha favorito l’adozione di veicoli elettrici, incentivando la produzione e l’acquisto di automobili a zero emissioni. In questo contesto, è evidente che il mercato, se opportunamente orientato (dal decisore politico e dalla collettività dei consumatori, non abbiamo bisogno di autocrazie), può essere un motore potente per il progresso ambientale, dimostrando che gli incentivi economici possono guidare l’innovazione e promuovere soluzioni sostenibili su larga scala.

Pertanto, l’insistenza anticapitalista su un’uscita totale dal sistema di mercato, spesso radicata in vecchie ideologie, rischia di rappresentare un serio ostacolo allo sviluppo di soluzioni efficaci per l’ambiente. Invece di riconoscere il potenziale del capitalismo, molti critici si concentrano sulla sua demonizzazione, ignorando i progressi che possono essere ottenuti attraverso politiche intelligenti e incentivi economici. Questa posizione non solo distoglie l’attenzione dalle opportunità reali di transizione verso un’economia sostenibile, ma può anche rallentare o bloccare l’adozione delle misure necessarie per affrontare la crisi ambientale. Un atteggiamento che vede il mercato come il nemico da abbattere, piuttosto che come uno strumento da trasformare; è una posizione non dissimile da quella di chi diffida della scienza, perchè questa ha prodotto la bomba atomica. Del resto, anche l’abolizione del libero mercato può portare a soluzioni inefficaci o controproducenti, come dimostrato dai fallimenti ambientali e dai disastri ecologici delle economie pianificate nel passato.

Naturalmente, il mercato non è una forza salvifica che agirà da sola per risolvere i problemi ambientali. Affinché il sistema economico possa operare in favore della sostenibilità, affinché cioè la ricerca di nuovi prodotti e servizi sia orientata verso l’innovazione ecologica, il risanamento e il contenimento dell’impatto ambientale, è necessario un impegno collettivo, guidato da una visione condivisa e sostenuto dalla legislazione. Una transizione ecologica efficace non si realizzerà senza il coinvolgimento attivo di tutte le componenti della società, dalle istituzioni ai cittadini, fino al settore privato.

Questo processo richiede non solo consapevolezza ambientale, ma anche un profondo senso di responsabilità collettiva. L’individualismo, che caratterizza gran parte delle società moderne, è il vero nemico da sconfiggere. La sfida più grande non è semplicemente creare un sistema di incentivi economici, ma promuovere un’etica che metta la comunità al primo posto, incoraggiando l’impegno per il bene comune e la solidarietà verso le generazioni future. Solo attraverso una diffusa volontà di collaborare e di anteporre gli interessi collettivi a quelli puramente individuali (e non solo di mercato) sarà possibile orientare l’attività economica verso un futuro realmente sostenibile per tutti. E solo – permettetemi di concludere – con un po’ di fiducia nelle cose migliori che siamo in grado di fare e negli altri, abbandonando l’idea che per progredire sia sufficiente far vedere la catastrofe cui stiamo andando incontro.

 

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