AGI – “Le mafie di oggi sono sempre più ibride, in bilico tra la realtà analogica e la virtualità digitale. Un mondo in continua, rapida evoluzione, una realtà ignorata dai rapporti ufficiali che continuano, sbagliando, a considerare cybercrime e criminalità organizzata due entità diverse e non in relazione”. Lo ha affermato Antonio Nicaso, giornalista e studioso dei fenomeni criminali di tipo mafioso, docente Queen’s University Canada, intervenendo nella sala stampa di Montecitorio alla presentazione del rapporto “Cyber organized crime – Le mafie nel cyberspace” curato dalla Fondazione Magna Grecia.
“Dall’esame delle tipologie di reato degli ultimi dieci anni, secondo i dati di Fbi e Dea – ha ricordato Nicaso – emerge come le più importanti famiglie di Cosa nostra continuino a essere legate fortemente ad attività di tipo predatorio tradizionale, fatta eccezione per il gioco d’azzardo online, e come i giovani siano relativamente pochi e l’età degli indagati alta; ma se il focus si sposta sulla ‘ndrangheta, si vede un coinvolgimento crescente di ‘pirati’ informatici, fino alla recente, importante scoperta di un hacker tedesco finito in una frazione di un comune della provincia di Crotone al soldo di una ‘ndrina. L’hacker è fuggito, riuscendo a far perdere le sue tracce, ma prima ha fatto in tempo a estrarre criptovalute e a pianificare tutta una serie di investimenti attraverso nuovi canali di riciclaggio”.
Il rapporto evidenzia in sostanza come e quanto rapidamente le mafie si trasformino, passando dal pizzo al ransomware, dalle piazze di spaccio fisiche ai mercati web: la nuova frontiera è il cyberspace, dove la criminalità organizzata agisce ormai “in modo strutturato, strategico e coordinato”.
“Abbiamo il dovere di dire fuori ma anche, se non soprattutto, dentro queste aule che oggi esiste una nuova criminalità organizzata, che ha cambiato completamente modello. È una consapevolezza, questa, che manca anche alla politica e che invece deve diventare il nostro pane quotidiano”. Lo ha sottolineato Chiara Colosimo, presidente della Commissione parlamentare antimafia, intervenendoalla presentazione del rapporto “Cyber organized crime – Le mafie nel cyberspace” curato dalla Fondazione Magna Grecia.
“Dimentichiamo coppola e lupara – ha proseguito Colosimo – Chiunque abbia in mano un telefonino, non necessariamente un criptofonino, sa benissimo che esistono piazze di spaccio virtuali, che su canali di messaggistica si vede e si compra la merce pagandola in bitcoin o con metodi diversi su altre piattaforme. Ecco perché vanno messe in campo rapidamente politiche e legislazioni capaci di dare agli inquirenti gli strumenti per contrastare questa nuova realtà criminale”.
Gratteri, Italia ha perso molto know-how
“Sul piano del contrasto alla criminalità organizzata e alle sue nuove forme, abbiamo perso molto know how: fino a sei o sette anni fa, le nostre forze dell’ordine erano le migliori, ‘davano le cartè in tutti i più importanti tavoli internazionali, oggi non è più cosi’. E questo perché chi ha programmato il Paese negli ultimi dieci, quindici anni non ha avuto capacità di visione”. Lo ha affermato Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Napoli, intervenendo alla presentazione del rapporto.
“Il blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione, risalente al 2010 – ha spiegato Gratteri – ha colpito anche Polizia di stato, Carabinieri, Guardia di finanza e Polizia penitenziaria che a tutt’oggi hanno in organico migliaia di uomini in meno: ma se anche avessimo la bacchetta magica e i soldi per fare nuovi concorsi, a mancare sarebbero figure come quelle, ad esempio, degli ingegneri informatici che certo non possono accontentarsi di 1.600 euro di stipendio visto che giustamente guadagnano molto di più nel privato”.
E il ritardo, purtroppo, “è anche tecnologico: olandesi, francesi e tedeschi hanno già ‘bucato’ piattaforme, noi neanche una, e capita che un Paese Ue non ci faccia partecipare a una azione investigativa perché non garantiamo un adeguato supporto tecnologico: questo per me – ha concluso Gratteri – è umiliante, tutto il resto sono chiacchiere”.
“Le mafie vanno sui social, ieri Facebook oggi TikTok, in cerca dei giovani, che sono quelli che non hanno soldi ma consumano di più – ha ricordato Gratteri – Ma quando vedo un cantante sul pick-up con un mitra in finto oro con la maglia ‘narcos’ e vado a leggere quanti like ci sono sotto o quando qualcuno di importante, sicuramente in buona fede, lo invita a fare una lezione, mi preoccupo e non posso tacere perchè certi errori diventano messaggi. Pensiamo anche alla cinematografia, al ‘Padrino’, o a serie tv in cui per un’ora c’è solo violenza e non compaiono mai un prete, un magistrato o un poliziotto: come stupirsi poi se un ragazzino di 12 anni va in giro con i capelli tagliati come il killer o camminando in un certo modo. Dire certe cose significa tarpare le ali alla cultura? Ma quando mai, pero’ dobbiamo denunciare e non avere paura di crearci un nemico mediaticamente forte. Non è un problema mio, io non devo andare in cerca di voti”.