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Crolla l’industria tedesca, listini volatili. Bce, economisti divisi sulle mosse di Draghi

Set 7, 2016

MILANO – Ore 10:20 La produzione industriale tedesca ha segnato il peggior calo in almeno due anni a luglio, mostrando quanto sia rilevante il rallentamento del commercio globale, e condizionando la debole seduta dei listini europei: Milano inverte la rotta e cede lo 0,3% nonostante l’andamento delle banche. Variazioni minime sulle altre Borse europee: Francoforte si muove poco sopra la parità come Londra, mentre Parigi cede lo 0,1%.

Correggendo i dati per gli effetti stagionali, le industrie di Germania hanno registrato un calo dell’1,5% sul mese precedente, ben peggio del +0,1% tracciato dal consensus di Bloomberg. E’ il peggior dato dall’agosto 2014 e suggerisce – insieme ad altre rilevazioni raccolte dopo il referendum britannico sull’uscita dalla Ue – una perdita di slancio della locomotiva d’Europa. Resta l’ottimismo della Bundesbank, che pronostica un rafforzamento dell’economia nel trimetre in corso.

In mattinata, è andata in scena la quarta giornata di crescita dei mercati emergenti a seguito della diminuzione delle possibilità di un rialzo dei tassi negli Usa nella riunione della Fed del 20-21 settembre prossimi. Martedì, le chances di stretta monetaria a fine mese sono scese di altri otto punti percentuali, al 24%, dopo che l’indice Ism sul settore dei servizi americani è crollato ai minimi da sei anni. Dopo il deludente rapporto sul lavoro della scorsa settimana, sono nuovi indizi che suggeriscono alla Federal Reserve cautela nella stretta monetaria, che resta sul tavolo per dicembre.

In Europa, invece, si guarda alla Bce che si riunisce domani. Il direttorio di Francoforte dovrà prendere atto della scelta della Gran Bretagna di lasciare l’Unione nell’aggiornare le sue previsioni macroeconomiche. Anatoli Annenkov, economista di SocGen, ha sottolineato a Bloomberg che “questo giro di aggiornamenti delle previsioni poteva svelare un atteggiamento più ottimistico della Bce sulle stime di inflazione, a seguito delle misure messe in campo” dall’Eurotower. Ma poi è subentrato il colpo di scena di Brexit. “I due effetti si annulleranno l’un l’altro, che significa che le stime macro resteranno più o meno dove sono”. Altri analisti sono meno ottimisti e vedono in agenda revisioni al ribasso. Con le prospettive economiche indebolite dal referendum Uk, con la crisi delle banche italiane e l’elezione in Spagna ad aleggiare, per gli economisti potrebbe arrivare già domani l’annuncio dell’estensione del Qe, ma sulla data di azione gli analisti sono spaccati.

Sul fronte valutario, il dollaro ha trattato in flessione sui mercati asiatici rispetto alle principali valute. L’euro torna così sopra quota 1,12 sul biglietto verse attestandosi a 1,1256. Lo yen si è invece rafforzato a seguito di alcune ricostruzioni di stampa per le quali nella Bank of Japan ci sarebbero dubbi sull’incremento del piano di stimoli all’economia. L’effetto si è visto sulle azioni delle aziende esportatrici, che hanno portato al ribasso l’indice Nikkei della Borsa di Tokyo che ha chiuso stamane in calo dello 0,41%. Il principale indice economico del Giappone è sceso a di luglio dopo aver recuperato nel mese precedente: l’indicatore che misura la futura attività economica è sceso a 100 a luglio rispetto a 100,7 di giugno.

Dagli Stati Uniti si attendono le richieste di nuovi mutui, il rapporto Jolts sui posti di lavoro vacanti e il beige book della Federal Reserve. Wall Street ha terminato in rialzo la prima seduta della settimana (lunedì era festivo per il Labor Day) con il Nasdaq (0,5%) che ha toccato un nuovo record. Il Dow Jones ha aggiunto 46,16 punti, lo 0,25%, e l’S&P500 lo 0,3%. Quotazioni del petrolio in rialzo sul mercato after hour di New York dove i contratti sul greggio Wti con scadenza ad ottobre salgono a 45,1 dollari al barile (44,9 ieri sera a New York). Il Brent sale dello 0,27% a 47,5 dollari al barile. Continuano a salire le quotazioni dell’oro sui mercati asiatici dove il lingotto con consegna immediata guadagna l’1,6% a 1.351 dollari l’oncia. Per il lingotto gioca il calo del dollaro e l’allontanarsi della stretta monetaria della Fed.

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