AGI – “I passeggeri in partenza dagli aeroporti italiani pagano una tassa che varia, a seconda della città, tra i 6,5 e i 9 euro, direttamente caricata sul costo del biglietto aereo. È la cosiddetta addizionale comunale sui diritti di imbarco, una imposta che non solo rischia di aggravare il fenomeno del caro voli e di deprimere il mercato, ma è oggi di fatto estranea rispetto agli obiettivi della norma originaria”. Con queste motivazioni Assaeroporti ha inviato una lettera al Parlamento e al Governo per chiedere con forza di mettere ordine alla materia, rivedendo “urgentemente” l’intero quadro normativo e puntando a una progressiva riduzione dell’imposta su tutti gli scali italiani, a partire da quelli più piccoli. L’obiettivo – si legge in una nota – è quello di portare la tassa a 2,5 euro nell’arco di 5 anni, conservando le sole quote riservate al comparto: 1,5 e 1 euro destinate, rispettivamente, al Fondo del Trasporto Aereo, rivelatosi fondamentale durante la crisi pandemica, e ai Comuni aeroportuali.
“Negli anni, provvedimenti poco chiari e contraddittori ne hanno incrementato l’importo – prosegue la missiva – a danno della connettività dei territori, destinando gran parte del gettito a finalità non attinenti al trasporto aereo, come ad esempio i 3,5 euro versati genericamente all’Inps. Sporadiche iniziative, invece, hanno per brevi periodi abolito l’addizionale comunale su alcuni scali”. La proposta di Assaeroporti di ridurre l’onere a carico delle compagnie aeree, e quindi dei passeggeri, si legge ancora, “favorirebbe la connettività aerea e la competitività del sistema aeroportuale nazionale. Al tempo stesso, mantenere le quote destinate al Fondo del Trasporto Aereo e ai Comuni aeroportuali significa continuare a garantire stabilità al comparto, tutelando i lavoratori, e risorse congrue alle amministrazioni locali, con un gettito interamente destinato al settore”.
“Le esigenze delle singole amministrazioni locali – commenta il presidente di Assaeroporti, Carlo Borgomeo – di ridimensionare o sopprimere la tassa o, all’opposto, di incrementarla per ragioni di Bilancio determinano oggi un quadro precario e frammentato, che contraddice i più elementari principi della concorrenza e condiziona la necessaria attività di programmazione degli operatori”.