• 24 Novembre 2024 6:48

Corriere NET

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Ecco altri Ogm trovati in natura

Feb 7, 2024

Spesso accade che la tanto invocata “natura”, a tutela della quale si invoca il principio di precauzione anche quando non si dovrebbe, si occupa di smentire direttamente alcune delle teorie poco fondate, usate per alimentare le paure del pubblico e bloccare l’adozione di ciò che la ricerca scientifica indica essere la miglior soluzione ad un determinato problema.

Uno dei settori in cui più diffusamente accade è quello delle biotecnologie vegetali, quando, a seguito di qualche nuova acquisizione “sulle invenzioni evolutive” che si ritrovano nelle piante, cade qualcuna delle barriere fra “naturale” e biotech invocate per condannare il lavoro dei ricercatori come appunto “innaturale”.

Abbiamo diffusamente mostrato come il flusso di materiale genetico tra organismi diversissimi, a volte persino con meccanismi di trasformazione genetica assolutamente indistinguibili da quelli poi sviluppati dagli scienziati, rende difficile parlare dei cosiddetti “Ogm” come di un’invenzione umana, mai vista prima negli ecosistemi che si intende tutelare (è anzi vero che la natura trasforma e rimescola a caso molto più di qualunque laboratorio).

Oggi vorrei portare un esempio che sfata un altro dei punti utilizzati per bloccare lo sviluppo e la diffusione di piante coltivabili a minor impatto ambientale, e precisamente proprio di quelle piante che consentirebbero contemporaneamente di raggiungere e superare gli obiettivi europei della riduzione di fitofarmaci, appena travolti dalle ruote dei trattori e dalle proteste dei contadini inferociti per chi non valuta le conseguenze di certe proibizioni sulla produzione agricola.

L’esempio riguarda uno dei più conosciuti e avversati tipi di Ogm, ovvero le piante in cui sia stato inserito il gene per la produzione di una tossina del Bacillus thuringiensis (Bt). In particolare, le piante Bt-modificate e più diffuse sono il mais, il cotone, la patata ed il tabacco. Per queste piante, oltre ad ipotizzare una varietà di effetti tossici sui mammiferi e di rischi per la salute umana – rischi che di fatto non sono mai stati solidamente provati, e sono certamente minori di quelli degli insetticidi che si risparmiano con gli Ogm in questione – si è presto passati, proprio per la labilità dell’argomento salute, a ipotizzare rischi ambientali, dovuti ad effetti su insetti diversi da quelli da cui si intende proteggere le piante. Anche in questo caso, tuttavia, si è dimostrato come tali effetti siano minimi e comunque molto inferiori a quelli dei pesticidi sostituiti dagli Ogm, ma la paura del “contro natura” è ancora salda e costituisce una leva di quel “populismo verde” che tanti danni continua a fare all’ambiente, alla salute e alla sicurezza alimentare.

Proprio l’argomento dell’innaturalità delle colture Bt-modificate deve tuttavia arrendersi oggi all’evidenza di una nuova pubblicazione, appena uscita sulla prestigiosa rivista scientifica PNAS.

In breve, alcuni ricercatori che stavano cercando alternative alle tossine Bt, le quali, come ogni prodotto, finiscono con il diventare inutili per l’insorgere di resistenza negli insetti, le hanno identificate in tre ordini diversi di felci, e in particolare anche in molte specie del comune genere Pteris (cui appartiene fra le altre la ben nota e comunissima felce aquilina). Quando gli scienziati hanno caratterizzato le proteine in questione, si sono accorte che erano in sostanza tutte varianti di una sola tossina utilizzata dalle piante come insetticida naturale.

Cosa più rilevante ai nostri fini, tuttavia, è che le proteine trovate sono, da un punto di vista strutturale, molto, molto simili alla tossina Bt usata negli Ogm – ne sono nello specifico una versione ridotta, che mantiene a causa della similitudine con quella batterica lo stesso meccanismo di azione.

Dunque, ricapitoliamo: in moltissime specie, da tre ordini diversi, appartenenti alle felci, sono state trovate delle “tossine Bt” di origine vegetale, senza che nessuno dei “terribili-scienziati-al soldo-delle-multinazionali” abbia mai fatto alcuna ingegneria genetica, e anzi presenti da milioni di anni prima che esistesse qualunque scienziato. Per sovrapprezzo, queste proteine sono in piante diffusissime e anche molto abbondanti, come la felce aquilina, che, come tutti ben sanno, può invadere estensioni anche vaste con una sorta di monocultura, non troppo dissimile da quella di un campo coltivato.

Eppure, come già gli studi citati avevano dimostrato, gli effetti su insetti diversi da quelli che la felce intende respingere non sono tali da far collassare gli ecosistemi, intossicare i mammiferi o produrre niente più che un ecosistema ben salubre, con la successione tipica e le interazioni che si osservano fra le felci e tutti gli altri organismi tipici di moltissimi ambienti diversi.

Per quello che riguarda le piante con il gene Bt, dunque, la distinzione fra “naturale” e “innaturale”, alla fine, sta come sempre solo nel fatto che l’evoluzione naturale ha prodotto in milioni di anni ciò che l’ingegno umano ha concepito e realizzato in meno di un secolo; e se certo il fatto che le felci Bt non danno indicazioni dirette sugli effetti di piantare mais-Bt – a quello ci pensano i numerosissimi studi e gli enti regolatori – è pur vero che l’argomento dell’innaturalità di questa strategia, e quindi la repulsione per essa, dovrebbe definitivamente essere accantonato, come una delle tante reliquie di quell’irrazionale invenzione di una natura immaginaria.

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