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Migliorare l’attenzione nel traffico: la questione è urgente

Nov 13, 2023

Duemila, questo il conteggio annuale di una tipologia di schianti stradali derivanti da cause evitabili, ossia quelli non tecnicamente definibili come incidenti. Duemila potenziali problemi in meno senza che vengano inasprite le sanzioni, aumentati i controlli o cambiate alcune regole. Certo, smettere di produrre automobili che vanno ai 200 km/h e aggiornare seriamente il Codice della Strada avrebbe un ruolo importante, però è tutto secondario rispetto a un altro fattore. L’attenzione è il punto più importante su cui lavorare. 

Distrazione di massa

Nell’attuale società si sta incrinando uno dei pilastri su cui poggia la convivenza umana, ossia la fiducia. Quando attraversiamo la strada sulle strisce ci fidiamo dei veicoli fermi davanti a noi; ci fidiamo dei cuochi quando andiamo al ristorante e, allo stesso modo, ci fidiamo dell’autista che guida l’autobus su cui siamo seduti. Tutto è basato sulla fiducia, la quale a sua volta si basa sull’attribuire precise facoltà umane ad altri individui.

Se però cominciamo a dubitare sull’affidabilità di questo meccanismo ci troviamo davanti a un problema che conduce a due risultati opposti, l’evitamento e il fatalismo. Le interferenze che possono minare questa attribuzione di facoltà possono essere di tanti tipi: gli stati di coscienza alterati, le emozioni fuori controllo, ma anche uno scorretto uso della tecnologia. Ognuna di loro ha come effetto collaterale un cosiddetto calo dell’attenzione: tuttavia della distrazione come causa in sé se ne parla ancora poco.

In realtà la moderna distrazione è diversa rispetto al passato, non è più solo legata a temporanei fenomeni di innesco come alcool, rabbia o smartphone, si tratta quasi di uno stato d’animo con cui la maggior parte delle persone vive e si mette alla guida. A provocarla ci sono una serie di fattori strettamente connessi alla società contemporanea, quali l’aumento demografico, lo stress, l’insonnia e ovviamente l’immancabile corredo tecnologico senza il quale non usciamo più di casa.

Per affrontare il problema è necessario da un lato ridurre i fattori di rischio, dall’altro lavorare sulle cause che provocano quello che potremmo definire un cronico stato di coscienza alterata. Per questo secondo obiettivo, uno degli approcci in grado di dare buoni risultati è la cosiddetta mindfulness, una tecnica di concentrazione che in sostanza ricalca la filosofia zen. Ci sono diversi studi che ne provano l’efficacia e gli innumerevoli benefici, sia a livello individuale che collettivo: nonostante ciò viene ancora presa poco seriamente in considerazione e accomunata a pratiche new age con cui non ha proprio nulla da spartire. 

Vista la grave situazione in cui ci troviamo, tutti gli enti di formazione, dalle scuole alle motorizzazioni civili, dovrebbero seriamente valutare l’idea di introdurre programmi di educazione all’attenzione, per quanto paradossale possa sembrare.

Le fonti di rischio

Parlando di mobilità è inutile girarci intorno, gli smartphone fanno la parte del leone. Sono loro che hanno abbassato il livello di attenzione e quindi – a cascata – prodotto una società allineata a una soglia di concentrazione più bassa. Se si somma questo all’aumento demografico, veicolare e all’interazione continua a cui siamo soggetti, il risultato non può che essere una marea di incidenti. Ma ci sono anche altri fattori che bisogna considerare, soprattutto la velocità di guida. 

Smartphone

Lo smartphone ormai lo sappiamo, crea dipendenza. Molte applicazioni, come ad esempio TikTok, sono programmate con questo scopo e ovviamente cercano di monopolizzare la nostra attenzione per ragioni meramente economiche. Si dice spesso che lo smartphone viene usato male, ma sarebbe più corretto dire che lui usa bene noi. La questione è molto complessa e non si può riassumere in poche righe: bisogna rendersi conto che abbiamo a che fare con un dispositivo capace di creare un intreccio psico-tecnologico basato su meccanismi ancestrali di ricompensa dopaminici.

Le stesse persone dietro alla sua creazione sono allarmate: Justin Rosenstein, l’inventore pentito del pulsante “like”, ha rimosso dal suo smartphone tutte le app che si basano su questo principio e, come ha fatto anche Tony Fadell (inventore dell’iPod), ha avviato da anni una campagna di sensibilizzazione sulla dipendenza da smartphone. Il defunto Steve Jobs, Bill Gates, Satya Nadella e altri dirigenti Facebook non consentono ai propri figli di usare lo smartphone. Tutto ciò dovrebbe far riflettere e farci capire che si tratta di un dispositivo estremamente pericoloso da associare a situazioni come quelle di guida, di qualunque veicolo si tratti.

Visione a tunnel

Ma non ci sono solo gli smartphone: i computer di bordo, una radio a tutto volume o una chiamata in vivavoce possono portare a quella che viene chiamata visione a tunnel. Si tratta di una particolare condizione dovuta all’immersione quasi totale in un’attività secondaria che coinvolge più di quella principale in atto. David Strayer, uno psicologo dell’Università dello Utah, ha scoperto che le persone possono entrare in questo stato anche durante una conversazione telefonica, indipendentemente dal fatto che stiano tenendo o meno un telefono in mano.

In pratica possiamo investire una persona mentre chiacchieriamo al telefono col nostro interlocutore, perché senza accorgercene stiamo escludendo una serie di informazioni sensoriali intorno a noi, come un semaforo che diventa rosso. Lo stesso discorso vale ovviamente per alcuni modelli di caschi moto, dove la possibilità di avviare telefonate può portare al medesimo fenomeno. La visione a tunnel è un classico esempio di multitasking vizioso dovuto ad un eccesso di sicurezza che porta a compiere un’azione sopra un’altra, anche in situazioni di palese rischio.

Velocità

Sia l’uso dello smartphone che la visione a tunnel avrebbero però un impatto decisamente inferiore se la velocità dei veicoli fosse ridotta. La tentazione di spingere sull’acceleratore è sempre tanta, ma ridurre la velocità abbassa enormemente il rischio medio di impatto con un altro veicolo. Pochi chilometri orari in meno migliorano i tempi di reazione del guidatore e riducono l’entità degli eventuali danni, a persone e cose.

Certo, il fatto che le automobili siano diventate molto grandi non aiuta la causa, visto che le maggiori dimensioni danno l’impressione di muoversi più lenti in generale. La velocità crea in ambito urbano un ambiente più confuso e il traffico può diventare un vero e proprio incubo. Una ricerca condotta dalla rivista TheConversation sui cittadini di Los Angeles ha scoperto che proprio il traffico aumenta di circa il 6% la probabilità di crimini e violenza domestica. Ecco perché una tecnica come la mindfulness calza a pennello.

La mindfulness 

La mindfulness si potrebbe definire come la versione occidentale del buddismo zen. È stata sviluppata in protocolli terapeutici dal medico statunitense Jon Kabat-Zin e consiste in una pratica meditativa basata sull’allenamento dell’attenzione attraverso i nostri cinque sensi. Bisogna precisarlo perché spesso percepiamo il mondo attraverso la mente, un “organo” in realtà progettato per il ragionamento e l’elaborazione.

Per capire meglio questo punto conviene fare una piccola digressione filosofica. Tutti quanti nel tempo ci siamo persuasi che lo stare bene sia collegato all’ottenimento di  ciò che la mente ritiene bello o desiderabile, in sostanza alla realizzazione dei desideri: la mindfulness ci dice invece che la felicità risiede nell’atto in sé di percepire, a prescindere dall’entità dell’oggetto. Al di là che sia vero o meno, è stato dimostrato che l’applicazione delle tecniche mindfulness provocano effetti sull’attenzione, sul respiro e sull’umore, che producono a loro volta uno stato di calma, lucidità e di generale “rallentamento” del ritmo. In termini di sicurezza stradale si tratta di un risvolto pratico importantissimo.

Come si pratica

Praticare la mindfulness non è difficile, bisogna usare l’attenzione, veicolarla coscientemente su stimoli sensoriali esterni legati al momento presente: può essere il contatto col volante dell’auto, i rumori del motore, la visuale che abbiamo davanti a noi. La difficoltà risiede nell’opposizione che la mente tende a esercitare: interferisce lanciando un bombardamento di pensieri riguardanti il futuro o il passato (mai il presente), i quali innescano in noi un’oscillazione tra stati di preoccupazione e torpore dentro però ai quali ci sentiamo “a casa”. Se però si riesce ad essere costanti per un po’ di tempo con la pratica si accede agli effetti benefici della mindfulness, che possono avere un grosso impatto sulla nostra vita, non solo stradale.

Dalla smart mobility alla conscious mobility

In questa visione il concetto di smart mobility dovrebbe lasciare il posto a quello di conscious mobility, mobilità consapevole, perché ciò di cui abbiamo attualmente bisogno sono soprattutto guidatori attenti. Gli effetti secondari sarebbero inevitabilmente benefici e smart, producendo i risultati che nelle città si cerca di concretizzare, da una maggiore sicurezza ad un’aria meno densa di smog.

Una persona allenata a stare più attenta tende a fare scelte più lucide e convenienti, valuterebbe ad esempio l’impatto del suo veicolo in termini di consumi, di probabilità di incidenti e costi collegati; alcuni forse anche in termini di inquinamento, e di stile di guida, cominciando così ad evitare forti accelerazioni (e altrettanto rapide frenate) in prossimità dei semafori, che alzano i consumi e aumentano il rischio di scontro. 

Gli studi

Gli studi sulla sicurezza stradale e la mindfulness non mancano. Ad esempio, una recente ricerca condotta dal MUARC (Accident Research Center) e dagli esperti Mindfulness della Monash University (Australia), ha dimostrato che una maggiore consapevolezza è associata a tassi più bassi di comportamenti di guida pericolosi intenzionali e non intenzionali, a frequenze più basse di guida distratta e a mediare la relazione tra rabbia e comportamenti di guida aggressivi. Inoltre, i conducenti che hanno riferito di aver partecipato a un programma generico di formazione sulla consapevolezza hanno avuto un numero significativamente inferiore di incidenti rispetto ai conducenti che non avevano praticato la formazione sulla consapevolezza. All’estero cominciano ad essere pubblicizzati corsi su questo genere di argomenti perché stanno capendo quanto la distrazione stia diventando un fenomeno di disordine pubblico molto serio. E intervenire si può.

Quindi, cosa possiamo fare? Beh, potremmo riassumerla così:

evitare le fonti di distrazione (droghe in primis, smartphone compreso);
abbassare la velocità di guida;
familiarizzare con tecniche di attenzione simili alla mindfulness, allenandoci soprattutto quando stiamo guidando;
sperare che vengano introdotti corsi di attenzione ufficiali con relativi periodici controlli

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