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Spagna: destra e sindacati in piazza, Madrid non è Caracas

Nov 8, 2023

(AGI) – Un’altra notte di violente proteste contro l’aministia ai ribelli catalani in Spagna, ancora senza governo a oltre tre mesi dalle elezioni anticipate del 23 luglio. A scendere in piazza ieri sera a Madrid, dopo le manifestazioni che nei giorni scorsi hanno interessato Barcellona, Valencia e altre città spagnole oltre la Capitale, sono stati almeno 7mila militanti dell’estrema destra mobilitati da Revuelta, piattaforma legata ad ambienti studenteschi vicini alla destra sovranista di Vox, partito guidato da Santiago Abascal. 

Nel mirino dei manifestanti, diretti contro la sede del partito socialista (Psoe) in  calle Ferraz, la proposta di amnistia per i dirigenti della Catalogna coinvolti nel fallito tentativo di secessione del 2017, una delle condizioni poste dai deputati catalani separatisti per garantire i loro voti al governo del premier uscente Pedro Sanchez che, altrimenti, non avrà una maggioranza. 

Circa 300 agenti antisommossa, secondo il quotidiano El Pais, erano schierati dietro barricate costruite a distanza di sicurezza per meglio proteggere la sede del partito socialista e sono stati costretti a disperdere il corteo con gas lacrimogeni e proiettili di gomma in risposta ai razzi lanciati dai manifestanti. Nella Capitale iberica la protesta è degenerata in guerriglia urbana, mentre frange del corteo sono riuscite ad avvicinarsi alla sede della Moncloa. 

Contattato dall’AGI, Carlos Astiz, scrittore e commentatore della destra nazionalista, ha dato voce al dissenso dei manifestanti che “non vogliono fare la fine del Venezuela!”. “Il premier uscente (Sanchez) si è messo in ginocchio a pregare i separatisti pur di tornare al governo – ha affermato – hanno lanciato un processo per distruggere l’unità nazionale e la democrazia in Spagna, ma poi saranno tutti gli spagnoli a pagare per questo colpo di spugna”. 

Dopo il fallimento dell’incarico affidato al vincitore delle elezioni di luglio, il leader Alberto Nunez Feijoo, le due infruttuose votazioni al parlamento del 27 e 29 settembre, Re Felipe VI ha passato il ‘testimone’ al leader dell’opposizione, Pedro Sanchez che ora dovrà risolvere il ‘rebus’ del governo entro il 27 novembre, due mesi dopo l’ultima votazione inconcludente. Per il leader socialista è quindi scattato insomma il conto alla rovescia: o trova entro questa data i numeri per formare un governo, anche a costo di pesanti concessioni all’estrema destra e agli indipendentisti, o la Spagna tornerà alle urne il 14 gennaio. 

“L’estrema destra sta cercando di spargere menzogne in Spagna e altrove”, ha commentato all’AGI Steven Forti, professore di storia contemporanea dell’Università autonoma di Barcellona e autore di numerose pubblicazioni, incluso un libro sulle nuove destre europee, “Extrema Derecha 2.0”. “”Le accuse che rivolgono a Sanchez di essere un ‘traditore’, di svendersi ai separatisti e volere la distruzione del Paese, non stanno né in cielo né in terra”. “La Spagna – ha proseguito – non è ancora il malato d’Europa e, certamente, non è il Venezuela”. Tuttavia, ha aggiunto, “noto che la destra spagnola si è definitivamente trumpizzata: convoca, appoggia e partecipa a manifestazioni che assaltano le sedi del partito socialista. Seminano paure, in vista del possibile accordo di governo tra Sanchez e gli indipendentisti. Vogliono un Capitol Hill spagnolo!”, ha ammonito lo studioso invitando a fare attenzione.  

A preoccupare fette consistenti della magistratura e i maggiori sindacati della polizia e della guardia civile spagnola (Jucil e Jupol), voci che in varia misura si sono saldate alla protesta di questi giorni, è il fatto che Sanchez abbia accettato la richiesta di Junts per la Catalogna, partito guidato dal leader in esilio Carles Puigdemont,  per una legge di amnistia ai separatisti perseguiti dalla giustizia spagnola, incluso coloro che erano stati condannati per il fallito tentativo di secessione del 2017. 

Quella di ieri è stata la seconda serata consecutiva di violente proteste contro l’esecutivo socialista e nulla fa prevedere che le tensioni nel Paese iberico – attuale Presidente di turno dell’Ue – rientreranno presto. A complicare gli scenari, secondo il quotidiano El Pais, sono, da una parte, le fumate nere da Bruxelles dove si stanno allungando i tempi della trattativa tra Psoe e Junts per dare il via libera alla controversa legge di amnistia e facilitare la nascita di un secondo governo Sanchez. Dall’altra, l’esacerbazione del confronto politico tra due partiti storici, il Pp e il Psoe, che si stanno evidentemente indebolendo.

Lo conferma il comunicato del Pp diffuso ieri notte, a margine delle violenze, in cui si evita una esplicita condanna agli attacchi contro una sede di partito. Facendo cosi’, ha sottolineato la portavoce del governo uscente, Isabel Rodriguez, il partito Popolare “cessa di esser un partito di Stato”.

 

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